mercoledì 11 settembre 2013

La valle delle meduse, capitolo uno



Titolo: La valle delle meduse
Autore: Giusi
Pairing: lo scoprirete leggendo
Genere: AU/Commedia/Romantico/Erotico/Introspettivo
Rating: PG, slash, NC 17
Disclaimer: come sempre è tutto frutti di fantasia. I nomi di luoghi possono essere veri ma usati solo per ispirazione artistica



Capitolo uno


Quando suo nonno vent’anni prima lo aveva portato di fronte a quella vallata quasi sconfinata, un immenso arco di terra tra cielo e mare, gli aveva detto: “Michele, un giorno qui tutte case ci saranno, tutti palazzi! La gente sarà felice e tuo padre pieno di soldi, ma tu studia, studia, così non farai il manovale come me, il muratore come tuo padre... ” così gli aveva detto. E poi anche suo padre, e sua madre: “Michele studia, studia...” e così Michele, che a dieci anni era un bravo ragazzino diligente, così come a venti e a trenta, aveva ubbidito, cioè studiato. Aveva studiato talmente che a dispetto della tradizione di famiglia, quella di mollare quanto prima per mettersi a lavorare, Michele Salvemini si era preso un laurea in ingegneria che nel millenovecentottantadue era una cosa da vantarsene davvero.
A suo padre e alla buonanima di suo nonno sarebbe bastato un diploma di geometra per quello che avevano in mente. Qualcuno che lavorasse ai fianchi assessori, burocratici, sindaco e vicesindaco se occorreva. Prima o poi il condono sarebbe arrivato. Quella terra non più una landa desolata ma edificabile. Bisognava solo trovare la scappatoia. O meglio: a chi rifilare la mazzetta, ma di quelle pesanti visto i soldi, tanti, che c’erano in ballo. Almeno seimila metri quadrati di case! Per questo Michele doveva studiare, così quando sarebbe arrivata l’ora, sarebbe stato lui ad occuparsi di quel pozzo di san patrizio edilizio. O comunque a impedire che qualcun’altro li fregasse.
A Michele due cose non mancavano: la parlantina e il senso della misura, ma prima che iniziassero i lavori alla Valle delle meduse, così l’avevano rinominata suo padre e suo nonno, davvero era convinto che i suoi due vecchi fossero nel giusto, onesti. La prima occasione per sospettare che ci fosse del marcio sotto, gliela fornì proprio il funerale del senior senior, ossia Luigi Salvemini, suo nonno. Era morto una mattina. Così, all’improvviso. Morendo di mattina però aveva dato modo di organizzarsi per tempo e così la mattina del giorno dopo svolgere l’esequie senza colpo ferire. Quel giorno Michele, ventitré anni, laureando a Bari, vestito con il suo abito scuro migliore, era stato colpito dalla presenza di due noti mafiosetti del paese, due padrini che, nella sua mente bonacciona, poco potevano aver a che fare con suo nonno. E neanche con suo padre. Allora perché questi li trattava con deferenza? A casa gli aveva offerto tre tipi di amaro diversi, dopo il vino certo. Il vino di certi campi che non servivano a un cazzo, così si era espresso, mentre quella valle, una volta che fosse passato il condono...
Michele lo sapeva, c’erano tanti soldi in mezzo e lui aveva il dovere di collaborare come poteva. Due anni dopo, laureato e già specializzato, le cose erano andate in discesa per loro e ora, Michele, trent’anni, osservava dall’alto quella valle, proprio come l’aveva osservata vent’anni prima con suo nonno, solo che ora non c’era più una landa desolata di sterpi, sassi e sabbia ma le fondamenta per decine e decine di palazzi vista mare, scavatrici e odore di cantiere. Poco importava se decine di ecologisti e marmaglia simile erano da mesi sul piede di guerra. La Milanodue pugliese vista mare era al via, e con i santi in paradiso che avevano in Salvemini nulla l’avrebbe potuto impedire il successo. Marina salì accanto al fidanzato sui suoi tacchi alti fino ad affiancarlo:
“Amore andiamo a pranzo, c’è mamma che ha di nuovo l’asma e stare qui non le fa bene, l’aria di mare non le fa bene”  tossicchiò come se anche a lei l’aria di mare nuocesse. Michele capiva che era una stronzata, l’aria di mare faceva bene eccome! Ma la sua futura suocera essendo una cittadina, era davvero convinta che l’aria di mare nuocesse a quella che definiva un’allergia alla vita. La mamma della sua fidanzata Marina soffriva di una strisciante depressione legata alla mancanza di soldi, tutto questo da quando il suo poco svelto marito si era invischiato in certi affari che poi erano andati male. Ma la fortuna aveva voluto che il consuocero lo spronasse a investire sulla valle delle meduse. Si sarebbero ripresi la fortuna smarrita per strada.
A questo punto occorre dire che Michele in realtà era schifato da tutto ciò. E non sapeva ancora degli agganci malavitosi di suo padre. Più che schifato forse annoiato, in ogni modo il ragazzotto sapeva di vivere una vita di merda. Non aveva viaggiato, poco, troppo poco. E lui non sognava certo resort e vacanze in città d’arte, se avesse potuto avrebbe preso la sua moto, una Benelli 350 dell’ottanta, ben tenuta, e se ne sarebbe andato in giro per il mondo. A vedere il mondo. Cosa inconciliabile con la sua attuale vita, con la sua attuale fidanzata.
Chiuse gli occhi. Mai una gioia vera, mai una soddisfazione. Marina lo abbracciò da dietro appoggiando la guancia alla sua schiena, sotto le sue scapole. Era un bel po’ più bassa di lui, ma non perché fosse una ragazza di bassa statura, quello alto era lui. Affettuosamente le accarezzò le nocche.
“Marina cara, perché dopo non andiamo a farci una birra in paese. Poi camminiamo fino alla spiaggia e troviamo un posticino carino per fare l’amore?”
Gli rispose una fragorosa risata. “Michè, ma tu sempre a quello pensi? E dai che lo abbiamo fatto anche ieri! Se poi resto incinta?” Altra risata verginale. Se non altro quella risata lo rimetteva in pace con il mondo. Così come il desiderio di romantiche (quanto improbabili) scopate sull’arenile. “Va bene, andiamo. Il mio tentativo di seduzione non ha avuto buon esito. È stato più facile convincere tutta la giunta tarantina, compresi assessori regionali a farci costruire qua sotto che te a un po’ di sano sesso selvaggio”. Marina, che non era stupida e nemmeno frigida, lo spintonò complice: “Magari sei tu che prima di me il sesso selvaggio non sapeva nemmeno dove abita” la bocca atteggiata ad un broncio capriccioso. Continuarono a scherzare così fino ad arrivare al ristorante, sito su di una collina. L’ultima collina edificabile da quelle parti. Li attendevano i loro genitori. L’ultimo convivio domenicale primaverile. Dopo sarebbe stato giugno, sarebbero iniziati i bagni in mare, le domeniche di mare. Anche quest’anno senza la borsa con le vettovaglie. Quella gli mancava a Michele, come mancavano certi rumori che il benessere aveva portato via con sé, come la ricerca spasmodica nel barattolo di marmellata dell’ultimo boccone utile da spalmare. Ormai suo madre buttava, senza conservarle per future conserve, i barattoli ben prima che fossero davvero finiti. Gli mancava il rumore della saracinesca del garage aperto a mano, visto che ora c’era quello elettrico. Presto gli sarebbero mancati anche i gabbiani. Il loro canto. Michele dubitava che dove sarebbero andati ad abitare, un bellissimo attico nella valle, sarebbero arrivati i gabbiani. Ma per sposarci c’era ancora tempo, c’era ancora un anno. Tra un anno la loro casa, la sua e di Marina, così come tante altre, sarebbero state pronte per essere vissute. Tutti inscatolati in quel meraviglioso nuovo quartiere a vivere vite prive di colori, con poche soddisfazioni tranne una mangiata ogni tanto fatta bene, una scopata ogni tanto fatta bene, in attesa di ingrassare i cavoli.
Michele come un novello profeta riusciva a scorgere già il suo futuro: i soldi, già tanti gli giravano ma sarebbero aumentati, le voglie della mogliettina da soddisfare, i figli, almeno tre. Qualche vacanza certo, magari anche la barca. La barca gli sarebbe piaciuta, dopotutto che hanno i soldi di tanto disgustoso, se servono a togliersi le voglie? La gente uccide per i soldi, no? Mica solo per la libertà. Dopo i figli altri affari, viaggi di lavoro. Un’amante, più giovane ovviamente, magari bionda, o rossa. Un divorzio? Un’altra moglie? Tutto questo prima di morire.
Bene. Michele, questa volta a capotavola in attesa del conto da saldare, suo padre ci teneva che se ne occupasse lui, come se desse lustro, guardò la sua famiglia e fu colto da un panico improvviso. E se avesse avuto ragione il piccolo profeta che era il lui? Se ormai fosse tutto deciso? Aveva trent’anni, cosa poteva offrigli ormai la vita di sorprendente e meraviglioso? Non era quella la felicità? Non erano gli occhi scuri e brillanti della sua bella fidanzata la felicità? Non erano gli oggetti meravigliosi compresa la Mercedes nuova nuova arrivata dalla Germania dell’ovest la felicità? Non era la serenità dei suoi la felicità? Non era già tutto questo meraviglioso? Allora perché ogni tanto gli tornava in mente la Benelli e la fuga verso il nulla? Si riprese dallo smarrimento e, accarezzandosi i numerosi boccoli che lasciava un po’ lunghi per vezzo, essendo lui molto riccio, sorrise e accettò il conto. Pagò le cinquecentoventicinquemila lire senza batter ciglio. Prima o poi pensieri del genere sarebbero tornati a disturbarlo, e lui li avrebbe infilati dentro una cassetta di sicurezza, al riparo.


Qualche settimana dopo scoppiò il caldo. Improvviso, devastante, persino per Taranto troppo! Michele, dopo una giornata tra procura e cantiere, non ci pensava proprio di tornare a casa, né tanto meno fare visita a Marina. Prese la moto e uscì dal paese alla ricerca del fresco. Si pentì di non essersi portato il costume. Era tardi, il sole stava per tramontare e lui non aveva ancora cenato. Si avvicinò alla scarpatina che dava a picco sul mare. Un tratto di spiaggia quasi senza arenile, con tanti scogli. Degli schiamazzi attirarono la sua attenzione. Succedeva tutto a duecento metri dalla sua vista. Quattro ragazzi giocavano e si tuffavano in quel postaccio inquinato e maleodorante ma lo facevano con l’entusiasmo di chi inizia la stagione dopo l’inverno più lungo dalla notte dei tempi. Affascinato dalle risate e dai rumori gioiosi, Michele si avvicinò a piedi per poterli scorgere meglio. Erano in quattro, tre di loro avevano lunghi capelli sulle spalle, chi ricci, chi lisci, chi tagliati più corti poco sopra le spalle, in ogni caso troppo lunghi, da ragazza. Solo uno, un biondino, aveva i capelli più corti ma ugualmente tagliati strani. Michele pensò si trattasse di una specie nuova di figli dei fiori, o di un gruppo  di giovani barboni, o qualcosa del genere. Come lui, nemmeno l’allegra brigata si era ricordata di portare il costume. I tre capelloni ostentavano mutande a boxer, il biondino emerse dall’acqua ridendo. Fisico magro, asciutto ma benfatto. E Michele si avvide che lui non aveva nemmeno l’intimo. Non aveva le mutande quel ragazzo là! Lo sorpresero le sensazioni. Anzi lo sommersero. Si sentì preda di una smania incontrollabile che gli attanagliò la gola fino quasi a farlo smettere di respirare, proprio come succedeva sua suocera quando aveva le sue crisi d’asma. Ma nel caso di Michele l’aria di mare non c’entrava proprio niente. Perché all’improvviso non solo gli mancava l’ossigeno, non solo gli girava la testa tanto da non riuscire più a stare in piedi. Improvvisamente non gli stavano più i pantaloni. La sua eccitazione era tale da fargli temere di venirsi nella mutande come gli era capitato solo a tredici anni, quando dentro un rudere abbandonato, aveva trovato un’intera pila di materiale pornografico. D’annata ma pur sempre utile per farsi le seghe. Michele non riuscì più a ragionare tranne che quel biondino nudo divenne per lui il desiderio del mondo. Gli veniva da piangere da quanto gli piaceva. Non importava niente che fosse la prima volta in vita sua, a trent’anni, che si sentisse attratto da un ragazzo. Non importava niente che fosse praticamente in mezzo alla strada, alla mercé di sguardi estranei, a spiare quattro ragazzi che mezzi nudi si facevano il bagno. Si tuffavano, si rinfrescavano, in acque brillanti ma sicuramente poco sane. Passarono i minuti, il sole continuava la sua discesa. Il biondino nudo gridò che gli fossero restituiti i boxer e gli altri lo accontentarono. Michele riuscì a capire qualcosa, del genere: “Devo andare io!”. I giovani, ora vestiti, presero il sentiero che li portava più o meno dove si trovava Michele. Cosicché questi corse alla moto speranzoso di poter continuare a seguire il suo Dio dell’eros. Gli passò quasi davanti mentre lui, nascosto dentro il casco semi-integrale, lo vide da vicino. Cavolo se era un bel ragazzo! Da vicino meglio che da lontano. Anche gli altri tre avevano un aspetto piacevole ma a loro Michele non badò. Il quartetto salì dentro la Fiat Tipo grigio piombo e sgattaiolò via. Michele la seguì.
Non si trattò di un pedinamento lungo. Li vide fermarsi davanti a un noto pub del paese, chiamato “La pecora nera”.  A scendere fu solo il biondino che tanto lo affascinata. “Oh, grazie ci si vede domani, ciao!” Ed entrare nel locale. Michele intuì che doveva trattarsi di una delle maestranze. Un cameriere. Ripensò a quel posto, c’era stato due anni prima con Marina, no? Ma non si ricordava ci lavorasse uno così... perché avrebbe dovuto ricordarlo? Solo perché era bello e aveva un bel culo? Oscillò la testa indeciso se scappare via da tutto quello o proseguire la sua discesa agli inferi. Avrebbe potuto tornarci. Sì, ora sarebbe andato a casa a farsi la sega più desiderata della sua vita e poi, nei giorni a seguire, magari ci sarebbe tornato. Corse via a tutta birra e quando tornò a casa, sua madre preoccupata gli fece sapere che la cena attendeva sotto il piatto... Michele non la guardò neppure, annunciò che avrebbe fatto una doccia che si schiattava dal caldo. Aggiunse pure un distratto: “Non ho fame”. E una volta dietro il muro che suo nonno manovale aveva tirato su tanti anni prima, nudo, guardò in basso l’erezione che non aveva più smesso di svettare verso il vuoto, il suo davanti. Aprì il rubinetto. Lo scorcio fresco lo investì. Cercò di non venire subito ma fu inutile. Il bello fu che non si tratto tanto dell’immagine del ragazzo nudo quanto della sua voce, dell’insieme degli avvenimenti forse? Che ci facevano quei quattro ragazzi nudi in quel posto inospitale. No, di veramente nudo c’era solo il biondino bello, gli altri erano in mutande. Fantasie impudiche occuparono la sua mente: forse gli altri lo sfruttavano sessualmente perché così bello. “Certo, se lo fanno tutti, un cosetto così!”.
Raggiunse l’orgasmo dopo un lungo rantolio ma non fu poi tanto piacevole. Gli sembrò come dopo aver rimesso. Un senso di svuotamento, quasi benessere, ma non c’era il piacere di una bella scopata! Era tutto un prurito da grattare fino a scorticarsi. Esausto tornò in camera sua. E fino a quando il sonno non lo avvinse, l’immagine del ragazzo nudo usurpò ogni suo pensiero.

2 commenti:

  1. Di solito un libro mi conquista dalla prima pagina o non se ne fa nulla. Qui invece c'è da fare! Devo dire che Michele palazzinaro mi inquieta e non poco: ha fatto tutto quello che la famiglia gli ha chiesto, senza mai pensare nemmeno lontanamente che altra era la Famiglia per cui lavorava. Si riprenderà, sono sicura, quando un uomo sogna moto e orizzonti liberi, vuol dire che è pulito dentro, ma non sarà facile quando dovrà scegliere fra la famiglia e la libertà, anche di voler amare un biondino che gli è già entrato nei sensi, e che chissà, pian piano magari entrerà anche nel suo cuore.

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  2. L'inizio promette bene. Mi piace molto quest'ambientazione nella Taranto anni ottanta. Sarà forse colpa della mia parte pugliese. Comunque la trovo intrigante così come trovo affascinante Michele con la sua aria da bravo ragazzo, la vita già prefissata, ma che nel suo animo cela ben altro, passione e desiderio di fare altro, scappare forse da questa realtà che gli sta stretta. L'incontro con un certo biondino sembra lo abbia scombussolato ben bene. Sono curiosa di vedere quando e come i due incroceranno di nuovo le loro vie.

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