lunedì 30 settembre 2013

La valle delle meduse, capitolo due

Titolo: La valle delle meduse
Autore: Giusi
Pairing: lo scoprirete leggendo
Genere: AU/Commedia/Romantico/Erotico/Introspettivo
Rating: PG, slash, NC 13 
Disclaimer: come sempre è tutto frutti di fantasia. I nomi di luoghi possono essere veri ma usati solo per ispirazione artistica

Capitolo due




Michele fece passare due giorni prima di tornare al “Pecora nera”. Il caldo era sempre fastidioso,  ma nessun avvenimento degno di nota aveva scalfito la sua quotidianità, fatta quasi completamente di beghe. Beghe al cantiere, beghe in banca, beghe al comune... beghe. Lui, anziché fare l’ingegnere si occupava anzi si raccapezzava tra gli intoppi vari che sopraggiungevano. Ma suo padre gli ricordava sempre che quando hai tra le mani un impero non puoi mica pretendere che altri si occupino dei tuoi problemi. Devi seguire le fila dalla A alla Z. La lettera A iniziava con ammanchi e la zeta con zona, esattamente con Zona di interesse archeologico. “Maledetta cultura”, avrebbe detto suo nonno.
Alla faccia di un’altra giornata persa come quella o proprio per riscattarla, Michele prese la moto e non disse dove andava, andò e basta. S’inerpicò sulle salite e poi una lunga discesa ed eccolo, il locale. Era tranquillo, andava a farsi una birra, niente di eccezionale. Negli ultimi anni parecchi locali del genere erano stati aperti; questo specialmente attirava un gran numero di persone. E poi era venerdì. Si ricordò che il giorno dopo doveva svegliarsi presto per portare la sua ragazza al mare, a quarantanove chilometri da Taranto. Sbuffò. Il locale era collocato tra gli ulivi. All’entrata anziché un’insegna luminosa, un semaforo spento appiccato per traverso. Praticamente impiccato. L’interno del locale, tutto di legno, portava all’esterno, dove c’erano dei tavolini tra altri ulivi e un palco dove fare musica dal vivo. In quel momento però la musica era quella diffusa dallo stereo, Easy to be hard. Alla fine dei tavoli, appoggiato tra una fila di piante ornamentali e una scansia, un flipper sopra cui una coppia pomiciava disinvoltamente. Lui appoggiato con il sedere incastrato tra i manubri del gioco, si teneva tra le braccia una ricciolina di media altezza, magrina ma con un bel sedere all’insù fasciato in un fuseaux nero luccicante. Stavano così appiccicati da sembrare un’unica persona. A Michele sembrò di riconoscere nel maschio uno dei ragazzi di quella sera insieme al suo biondino. Ma si convinse che la sua era solo paranoia. E poi non gli sembrava avesse i capelli così chiari. Si sedé Michele e ben presto una ragazza di bassa statura e tarchiata venne al suo tavolo. Che delusione! Il ragazzo, il motivo per il quale aveva fatto tutti quei chilometri in moto giù e su per le colline, per i trulli, quella sera non c’era. Smorzò delusione e fame annegando patatine fritte in maionese e ketchup. Gli occhi di Michele, obliqui dietro gli occhiali da vista, si rianimarono quando la giovane coppia di pomicioni gli passò davanti per unirsi ad un’altra comitiva, formata da quattro giovani. Era davvero uno dei ragazzi del bagno! E non solo, lo erano entrambi! E c’era anche l’altro capellone tra gli altri. Appurando che quella che di spalle gli era sembrata una ragazzina era il realtà un ometto, con tanto di baffi, Michele restò a bocca aperta con le salse appiccicate ai lati della bocca. Un tuffo al cuore. Non se l’era mai chiesto, ma due ragazzi possono baciarsi così? In pubblico? Poi lui cosa cercava dal biondino se non la risposta a tutti quei dubbi? Così concentrato nella sua ascendente carriera da palazzinaro, quella che prima suo nonno e poi suo padre avevano forgiato così bene sotto i suoi piedi, Michele Salvemini si era perso gran parte dei dubbi e dei piaceri giovanili. Non c’era dunque da stupirsi molto che a trent’anni suonati la sua anima vagasse ancora alla ricerca di qualcosa o di qualcuno. Eppure era fidanzato, tra un anno e due mesi erano previsti i confetti. Avrebbe sposato Marina, cambiato casa. I suoi genitori anche avrebbero cambiato casa. Tutti nella valle delle Meduse. A quel pensiero ebbe un giramento di testa. Pagò e decise di andare. Prima di rientrare nel locale che era il solo modo per uscirne, lanciò un’occhiata ai giovani amici del biondino. Quello con i capelli castani chiari e lunghi aveva tra le braccia di nuovo il ricciolino che sembrava una ragazza. Gli altri parlavano e bevevano birra sorridenti e tranquilli. Li avevano raggiunti delle ragazze. Oscillando la testa, un po’ sbronzo (non aveva neppure finito le patatine), Michele tornò a guardare davanti a sé. Ma quando fu davvero sul punto di tornare in strada e allontanarsi dal locale, una locandina vecchia di qualche giorno, la data riportata risaliva a tre giorni prima, attirò la sua attenzione. C’era scritto: “Live dei Medusa” e sotto una bella foto del gruppo. Tra gli artisti, al centro, con la chitarra a tracollo, riconobbe nel cantante il biondino nudo che gli aveva scatenato quell’impennata ormonale così travolgente e inappropriata! È il cantante! Si esibiva qui tre giorni fa, non è un cameriere! Pensò investito da tremilacinquecento sensazioni. Elaborò: certo che ripensandoci tutto tornava. Quella sera che lo aveva seguito fino al Pecora nera era troppo tardi per iniziare a lavorare, abbastanza presto per provare. Analizzò la foto con l’attenzione di un detective: gli altri componenti del gruppo, tutti giovanotti ben piazzati e dai lineamenti decisi. Solo lui sembrava piccolino e dolce, un cucciolo da proteggere. Un lillipuziano in mezzo ai giganti. Malgrado questo ostentava un’espressione da duro, il taglio punkettaro, piercing e tatuaggi. Rimase così a lungo a studiare la locandina che non si accorse del ricciolino che aveva scambiato per una ragazza accanto a lui che lo fissava. “I Medusa? Il punk? Superato! Resta, io faccio parte dei Niagara. Musica elettronica, ci esibiamo qui stasera, resta” così dicendo gli accarezzò la spalla. Michele scattò, turbato dai modi confidenziali, vagamente femminei. “Non so se posso restare. Così anche tu fai parte di un gruppo” il giovane annuì e gli indicò la locandina che indicava il concerto di quella sera. “Se resti ti pago da bere. Ci servono nuovi fan”.
“Io... io non lo so...” titubò un po’ poi scelse di restare. Tornato sui suoi passi decise di seguire il musicista il quale lo scortò dagli altri. Si presentò per primo, disse di chiamarsi Antonello e poi presentò anche gli altri. Michele cercò di intrattenere un dialogo nonostante la musica fosse decisamente alta. I nuovi compagni di viaggio sembravano simpatici e interessanti. Solo che ad un certo punto lo abbandonarono per andare a provare. Michele friggeva: era arrivato un tanto così da chiedere del biondino, e ora quelli se se ne andavano? Come ovvio, restò a seguire le prove. Nel frattempo arrivò altra gente e l’esterno del pub cominciò a ravvivarsi. Erano quasi le undici e il reale inizio del live previsto per le 23.30. Sbuffando Michele studiò i movimenti del gruppo. Erano tutti molto presi dai loro strumenti. Molto professionali.
Solo verso mezzanotte però iniziarono a suonare e solo in quel momento, nell’ora delle streghe, quella dove la carrozza diviene zucca, che finalmente Michele lo vide arrivare... era proprio lui, e accanto a lui un giovanotto moro con i capelli mossi un po’ arruffati in testa. Entrambi in jeans e maglietta sdrucita. Michele si convinse che fossero venuti in moto. I due parlottavano tra loro ridendo ogni tanto e ghermendo tra le dita una bottiglia di birra. La visuale non era il massimo ma Michele fu certo di essere perso: quel ragazzo era per lui la creatura più bella al mondo! Non riusciva a spiegarsi ciò che provava, e nemmeno voleva, ma era felice. Stupidamente e poco appropriatamente felice. Poi lui intercettò il suo sguardo interessato e ricambiò facendo ciao con la mano, come fanno i bambini dal pullman. Michele, rosso scarlatto, ricambiò il saluto e siccome gli ormoni in un attimo avevano azzerato tanto le sue facoltà cognitive quanto la sua timidezza, si alzò per raggiungerlo. Questi lo accolse abbracciandolo e con un bacio sulla guancia. “Quasi non ti riconoscevo” si sentì dire Michele. “Hai fatto crescere il pizzetto o ce l’avevi già?” Non sapendo cosa risponde Michele si limitò a sorridere ebete. Si allontanarono dal palco perché, a quel punto, la musica elettronica che si era diffusa nel locale impediva loro di sentirsi. L’amico del biondino restò a braccia conserte guardandoli andare via, poi tornò a prestare attenzione al palco e alla sua birra. “Non mi ricordo il tuo nome” continuò lui e Michele sospirando si presentò. L’altro ricordò il suo, e spiattellò pure chi pensava fosse Michele. “Ho fatto solo due esami, non penso che tornerò. Tutto credevo di incontrare al Pecora nera il mio professore di Fotografia e Pittura”.
Michele sogghignò: no, lui con l’arte, con la fotografia e la pittura non aveva niente a che fare. Ma fu grato al destino di avergli fornito un sosia intellettuale all’Accademia delle Belle arti di Bari. Non disse niente, ordinarono altre birre e poi parlarono del gruppo che suonava. Michele ammise di averli conosciuti prima del concerto, che li trovava dei ragazzi simpatici ma che ora come ora quel tipo di musica non la capiva molto. Diego, questo il nome del famigerato biondino, spiegò che stava collaborando con loro ma che era ancora molto preso dal su gruppo attuale, i Medusa. Che lo aspettava al prossimo concerto. “Ma sempre qui?” Michele si segnò nel taccuino che portava sempre con sé, quello dove appuntava di solito indirizzi e numeri di telefono, tutto quello che poteva essere utile di Diego. Scrisse ovviamente il suo numero di telefono, l’indirizzo, anche l’indirizzo di dove si sarebbe svolto il nuovo concerto, che poi era una sagra a Molfetta. Michele giurò che ci sarebbe stato e non c’era molto da giurare. Ormai non era più solo la sua bellezza, il ricordo di quel corpo nudo a lasciarsi contemplare dagli ultimi raggi solari. Ormai Diego era tutta la sua vita. Soprattutto quella onirica. Aveva bisogno di approfondire, di capire. Aveva bisogno soprattutto di lasciarsi andare a una passione travolgente. E tutte queste certezze furono corroborate dal post concerto. Quando fu tutto finito e i ragazzi dei Niagara raggiunsero Diego e il suo amico, tornarono a sedersi attorno al tavolino per bere e mangiare. Ormai Michele era alticcio e gli sembrò di aver sentito male quando Antonello, il ricciolino che lo aveva rimorchiato e grazie al quel ora si trovava vicino vicino all’oggetto dei suoi desideri, propose di fare il bagno di mezzanotte. Che poi a quel punto era passata già l’una di notte! Qualcuno assentì, qualcun’altro desisté asserendo di essere troppo stanco.

Alla fine, tra quelli felici di gettarsi nelle calde acque notturne dell’adriatico c’era il ragazzo di Antonello, il suo amico capellone e anche Diego, e, ovviamente Michele, che come un cagnolino docile e curioso lo seguì.  

5 commenti:

  1. Il personaggio di Michele comincia a delinearsi e a mostrare anche ulteriori sfaccettature. Non è solo ligio al dovere, ma anche passionale e spontaneo. Sembra davvero che non abbia mai vissuto come gli altri ragazzi. Si ritrova invischiato in qualcosa che non avrebbe mai creduto di provare e non ne è per niente spaventato, anzi, ci si butta a capofitto fingendo anche di essere chi non è. Bellissime le descrizioni del locale, sembra quasi di essere lì con loro. L'alchimia tra loro è inevitabile, chissà se sarà Diego o Michele a fare la prima mossa.

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  2. C'è tutto quello che ci vuole nella vita: il mare, musica, bei locali e un flipper (manca un calciobalilla, ma speriamo di migliorare più avanti). Abbiamo anche un giuggiolone, altrimenti detto orsetto, perchè questo mi sembra Michele, grande e grosso, immerso in una vita ai limiti della legalità con un passo già dalla parte sbagliata, ma sempre un orsacchiotto rimane. Probabilmente ad attirarlo in quel ragazzino biondo, a parte la insindacabile bellezza, è anche il suo vivere vivace e libero, quello che è mancato a lui finora.
    Aspettiamo di vedere cosa succederà quando sortiranno dalle onde: se non sbaglio, sugli arenili non mancano mai i calciobalilla di cui sopra, e Michele potrebbe pensare di farci una giocatina con Diego. E volendo, rimarrebbe anche posto per quegli altri due: ci si può giocare anche in quattro.

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  3. C'è tutto quello che ci vuole nella vita: il mare, musica, bei locali e un flipper (manca un calciobalilla, ma speriamo di migliorare più avanti). Abbiamo anche un giuggiolone, altrimenti detto orsetto, perchè questo mi sembra Michele, grande e grosso, immerso in una vita ai limiti della legalità con un passo già dalla parte sbagliata, ma sempre un orsacchiotto rimane. Probabilmente ad attirarlo in quel ragazzino biondo, a parte la insindacabile bellezza, è anche il suo vivere vivace e libero, quello che è mancato a lui finora.
    Aspettiamo di vedere cosa succederà quando sortiranno dalle onde: se non sbaglio, sugli arenili non mancano mai i calciobalilla di cui sopra, e Michele potrebbe pensare di farci una giocatina con Diego. E volendo, rimarrebbe anche posto per quegli altri due: ci si può giocare anche in quattro.

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  4. C'è tutto quello che ci vuole nella vita: il mare, musica, bei locali e un flipper (manca un calciobalilla, ma speriamo di migliorare più avanti). Abbiamo anche un giuggiolone, altrimenti detto orsetto, perchè questo mi sembra Michele, grande e grosso, immerso in una vita ai limiti della legalità con un passo già dalla parte sbagliata, ma sempre un orsacchiotto rimane. Probabilmente ad attirarlo in quel ragazzino biondo, a parte la insindacabile bellezza, è anche il suo vivere vivace e libero, quello che è mancato a lui finora.
    Aspettiamo di vedere cosa succederà quando sortiranno dalle onde: se non sbaglio, sugli arenili non mancano mai i calciobalilla di cui sopra, e Michele potrebbe pensare di farci una giocatina con Diego. E volendo, rimarrebbe anche posto per quegli altri due: ci si può giocare anche in quattro.

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  5. Quando ho visto 4 commenti mi sono detta: ops! Ci hanno scoperto... :) cara tu c'entri sempre il nocciolo, grazie!!

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