martedì 9 luglio 2013

Sui gradini di San Francesco, nona puntata






Titolo: Sui gradini di San Francesco
Autori: Annina         
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Commedia/Romantico/Introspettivo
Rating: PG, slash, NC17

Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono originali, ho preso in prestito i nomi solo per ispirazione artistica.

IX Capitolo


Diego si prende il volto tra le mani e si lascia scivolare a terra: “Cazzo, cazzo, cazzo stavolta non ce la faccio, non ce la faccio. Fottuto bastardo ti giuro se ti trovo ti ammazzo”. Si rialza e si incammina per il giardino con passo indeciso. Gira dappertutto e finalmente lo vede seduto su una panchina. “Bastardo! L’hai fatto apposta. Perché? Cosa te ne frega di me e Michele. Cosa vuoi da noi?”.
Fabrizio si volta esibendo uno zigomo escoriato: “Mi sono divertito sai Diego? Nonostante tutto mi è piaciuto vedere Michele incazzato e te sconvolto. Mi è piaciuto molto”.
“Ma che cosa vuoi da noi, perché, cosa ti abbiamo fatto?”.
“Ognuno si diverte come vuole, io mi diverto così”. A quelle parole Diego non ragiona più e si avventa contro Fabrizio, riempiendolo di pugni, ma Fabrizio è molto più forte di lui, e glieli restituisce tutti. Rotolano per terra come due animali, picchiandosi e insultandosi finchè due ferrovieri che tornano dal turno non li vedono e corrono a dividerli. 
Naturalmente è Diego ad avere la peggio, perde sangue dal naso e dal labbro spaccato, e gli sembra di vederci annebbiato da un occhio, dove Fabri l’ha colpito con violenza.
Anche Fabri comunque non è messo bene: i due chiedono a Diego se ha bisogno di aiuto, ma lui scrolla la testa e si avvia verso il suo palazzo, mentre loro si preoccupano di accompagnare Fabrizio, che abita nel loro stesso stabile.
Diego sale le scale e tenta di infilare le chiavi nella toppa, ma non ci riesce. Si attacca al campanello, sicuro Viola ha lasciato le chiavi infilate all’interno, ma la porta si apre appena. La zia lascia la catena e gli sibila: “tu da oggi qui non ci abiti più. Ho sentito dal terrazzo cosa diceva quello; ho guardato tra la tua roba, ho visto anche troppo. Non voglio un drogato per casa, trovati un altro posto dove stare, stai dal tuo amichetto, ma qui non entri”.
“Sei matta! Dove dovrei andarmene io adesso? E poi non sono un tossico, e comunque non sono affari tuoi. E’ casa mia questa, devi farmi entrare. Apri o sveglio tutto il palazzo”.
“Se ci provi chiamo la polizia. Vediamo cosa dice quando vede quei pacchettini di stagnola sul tuo letto”.
Diego non sa cosa fare: lo arrestano se gli trovano quella roba: ma perché non l’ha buttata? Non ci aveva più pensato, e adesso cosa può fare? La zia ne approfitta per richiudere la porta. Lui si accascia sul gradino: Fabrizio gliene ha date tante, gli fa male dappertutto. Ma soprattutto gli fa male dentro, gli fa male sapere che di là da quella porta c’è il suo amore che non lo vuole, e forse non lo vorrà più. Sarà quasi mezzanotte, dove può andare a chiedere ospitalità? E sta anche cominciando a piovere, sente le gocce sulle vetrate. Troppo stanco per reagire si alza, e comincia a scendere le scale adagio, mentre il primo tuono dà il via alla prima vera pioggia di fine estate.
Michele è disteso sul letto, con lo sguardo al soffitto. Non sa cosa pensare, non sa chi ha ragione, si sente confuso. Diego lo ha deluso, molto. Per una volta che lo ha lasciato solo, non ha saputo gestirsi, gestire le sue emozioni. Ma anche lui forse ha sbagliato. Non doveva lasciarlo solo, non dopo la morte della nonna. No, ma cosa sta dicendo, lui doveva, era suo dovere andare. Sente aprirsi la porta della stanza ed entra sua mamma. 
“Michè, che fai al buio? Non stai bene? Dov’è Diego? Come mai non è venuto qui con te? E’ successo qualcosa?”. Suo malgrado Michele sorride: “A quale rispondo prima Mà?”.
Anche la madre sorride e si siede accanto a lui, sul letto: “Non avrete mica litigato? Mi sembra di aver sentito del trambusto di là da lui. Sarà ancora Viola che gli dà il tormento. Spiegami Michele, dimmi cosa non va, lo sai che lo capisco sbito quando qualcosa ti tormenta”.
Michele sospira, poi racconta a grandi linee quello che è accaduto poco prima. La madre pensa un po’, poi accarezzandogli i ricci ribelli gli parla, seria: “Sai Michè, l’ho pensato per tutto il tempo in cui siamo rimasti in Puglia: abbiamo sbagliato, dovevamo costringerlo a venire con noi, oppure tu dovevi stare a casa. Lui aveva appena avuto un periodo troppo brutto, è stato così sfortunato poverino nella vita. Non dovevamo abbandonarlo, non mi stupisce che abbia preso una scivolata. Ma se ti ha detto che ora è a posto Michi, perché l’hai lasciato solo, ancora una volta?”.
Nonostante la tristezza, Michele sorride ancora: “Mi chiami Michi anche tu adesso? Lo so mà, l’ho pensato anch’io, non dovevo abbandonarlo. Ma lui doveva essere più forte”.
“Non sono tutti come te Michele, che sei una roccia. Diego è molto sensibile, e ha bisogno di te. Non lo fare soffrire di più, vai a chiamarlo, va', è il tuo amico di sempre”.
Michele si tira su e si siede accanto a lei: “Mà, è più di un amico sai? Cioè…” ma la mamma lo interrompe sorridendo: “Sì Michè, non ti preoccupare, ho capito. Ah, guarda che cosa ha lasciato qui qualche giorno fa, ha detto che era tuo” si alza e prende una tela arrotolata. Michele riconosce il dipinto che gli aveva fatto pochi mesi prima, lo srotola e lo stende sul letto. La mamma lo guarda a bocca aperta: “Oddio Michè, sei tu! E’… bellissimo vero? Sembri vero!”.
“Doveva fare il dipinto di una divinità, ha fatto questo. Sì, è bellissimo, è così che mi vede. Bisognerà farlo incorniciare. Vado a prenderlo mà, hai ragione tu, non deve più soffrire il cucciolo, sono proprio stato uno stronzo. Scusa…”.
La madre sorride dandogli un buffetto, e anche Michele ride scrollando i ricci, e va a suonare il campanello della porta di fronte. 
“Vattene ti ho detto!” la voce di Viola all’interno è isterica e Michele rimane stupito a guardare la porta chiusa, mentre sua madre si avvicina.
“Viola, sono Michele, ti spiace chiamare Diego? Scusa, so che è un orario…” Viola lo interrompe subito: “Diego non abita più qui, l’ho cacciato, non ce lo voglio più qui e lasciatemi in pace anche voi” la sentono ciabattare via e si guardano sgomenti. La pioggia imperversa fuori e i tuoni si susseguono a intervalli brevissimi, il temporale ormai è sopra di loro.
“Dove lo trovo mà? Dove può essere? Senti faccio un giro nel cortile, magari è qua sotto i portici, dove vuoi che vada? Poi vengo e ti so dire, se non lo trovo chiamo gli altri, lo andiamo a cercare in giro”. La mamma annuisce con le lacrime agli occhi, e Michele scende le scale a rotta di collo, dandosi mentalmente dello stupido: se non avesse fatto il superiore, con tutta la sua boria, Diego sarebbe nel suo letto, avrebbero già fatto l’amore un paio di volte e si starebbero riscaldando sotto al lenzuolo, che si è anche già rinfrescato, pensa uscendo sotto il portico. Diluvia, non si vede il palazzo di fronte e i lampi screziano il cielo. Dove diavolo può essere andato il suo ragazzo?
Fa il giro dell’abitato seguendo i portici. Sembra di essere a Bologna, tutti ‘sti portici. Dove mi sei andato Diè? E’ inutile, lì in cortile non sembra esserci. Pensa di telefonare a Fabio e Gaetano, magari è andato da loro. Rientra e fa per salire le scale, quando gli sembra di vedere una luce nelle cantine. Beh, non è un problema, tanto è a tempo, si spegne nel giro di pochi minuti. Sale due gradini poi ci ripensa: scende e si dirige verso il sotterraneo. Ora gli sembra di sentire dei rumori, come qualcuno che tira su col naso forse? 
La luce è spenta, eppure c’è un leggero bagliore, e viene proprio dalla cantina di Diego. Corre adesso Michele, e apre la porticina di legno: la stanza non è grande, giusto due metri per tre, forse nemmeno. Sopra un mobiletto una candela accesa disegna strane ombre sulle pareti, nell’angolo rannicchiato su una vecchia coperta, Diego.
Michele sospira di sollievo e una risata gli esce spontanea dalla gola. Schiaccia l’interruttore, ma la luce non si accende. Si avvicina a lui e gli si inginocchia accanto: “Perdonami cucciolo, sono stato veramente uno stronzo”. Poi lo osserva meglio, gli sembra che abbia il viso tumefatto, oltreché devastato dalle lacrime.
“Diè, che ti è successo?” si allunga a prendere la candela e la avvicina al viso di Diego, che tenta di schermarsi, ma senza molto successo, Michele vede l’occhio gonfio, il naso che sanguina ancora, il taglio sul labbro vicino al piercing.
“Cazzo Diè, è stato quel delinquente? Ma io vado e lo ammazzo, se non l’ho fatto in tutti questi anni, è la volta buona che lo ammazzo” fa per alzarsi, ma sente la mano di Diego che prende la sua. Non dice niente Diego, sta ancora singhiozzando. Povero il suo cucciolo: pestato, fuori di casa al buio col temporale. Lui che ha il terrore del buio, e anche un po’ dei temporali. E come se non bastasse, senza la sola persona che, ne è sicuro, abbia contato per lui in tutta la vita. Si sente un verme. Torna a inginocchiarsi accanto a lui e lo prende fra le braccia, coccolandolo, parlandogli sottovoce per tranquillizzarlo, dandogli tanti piccoli baci sui capelli. Lo sente rigido dapprima, ma poi gli si abbandona contro, anche se il pianto sembra diventare più intenso. 
“Andiamo via di qua Diego, andiamo a casa, abbiamo un sacco di cose da dirci, da raccontarci, tanti baci da scambiarci: andiamo piccolo”. Lo aiuta a rialzarsi e spegne la candela, quindi tenendolo forte, salgono i gradini fino alla casa di Michele, dove la mamma li sta aspettando, e sentendoli arrivare corre sul pianerottolo. Vedendo Diego ha uno scatto, ma non dice nient’altro che “eccoti qui ragazzo; direi prima di tutto un bagno, poi ti aspetto in cucina e ti medico, e poi a nanna, va bene? A lavorare non vai di sicuro, telefono io, voi state a letto. Chiamo io anche per te Michele, spiego che hai dei problemi, e dico di riferirmi tutto. Anche se non vai domani, il lavoro te lo danno, sono tre anni che lavori per loro. Via, porta Diego in bagno e poi riportamelo qui, io prendo il disinfettante”.
Arrivati in bagno, Diego si siede lentamente sul bordo della vasca, reggendosi con una mano contro al muro, mentre Michele apre l’acqua calda e la fa scorrere. 

“Diè magari se mi dici qualche cosa, sto più tranquillo. Anche se mi mandi affanculo va bene, ma vorrei sentire la tua voce”.
Dopo un attimo gli arriva un distinto “Vaffanculo” anche se detto con voce sottile. Si mette a ridere: “Sempre obbediente tu!”. 
Anche Diego tenta di ridere, ma gli fa male dappertutto, non ci riesce e fa una smorfia: “Cazzo Michi se fa male, non riesco nemmeno a parlare…” la voce gli esce a stento, il taglio sul labbro continua a sanguinare: “Però volevo dirti che mi dispiace, io…”.
“Shh, zitto Diè” Michele gli appoggia delicatamente un dito sulle labbra “C’è tempo per le spiegazioni, ora l’importante è rimetterti in sesto. Ce la fai ad entrare nella vasca? L’acqua è tiepida. Dai che ti spoglio” Gli toglie la maglia cercando di non fargli troppo male e gli sfila i jeans e i boxer, gettando tutto in un angolo. “Cristo, son pieni di sangue, ma quanto ne hai perso? Ma vedi se la paga” sibila aiutandolo a entrare nella vasca e iniziando a insaponarlo delicatamente.
“Piccolo, sei tutto un livido. Dimmelo se ti faccio male”. Diego scuote la testa mentre Michele gli lava i capelli con un massaggio tenero. Diego chiude gli occhi e tenta un sorriso.
“Adesso esci però, perché con tutti ‘sti ematomi non va bene l’acqua calda; però una ripulita bisognava pur darsela, vero? Poi ci voleva per rilassarti e sciogliere i muscoli. Ora facciamo tutto il resto. Dai che ti tiro su, forza” lo aiuta a rialzarsi e Diego commenta: “Bello avere il veterinario di fiducia che ti cura”. Michele ride mentre lo avvolge nel suo accappatoio: “Visto? Sei fortunato. Andiamo che mamma ti disinfetta e poi ti infili a letto. Cazzo ancora sangue dal naso: ora mettiamo il ghiaccio” lo guida in cucina e lo fa sedere vicino al tavolo, dove Maria ha già schierato tutti i suoi rimedi, comprese tre tazze di tè.
“Ce la fai a bere Diego? Dai che ti fa bene. Santo cielo, da dove iniziamo… beh, subito ghiaccio sul collo, fermiamo almeno il sangue dal naso. Dai, piega la testa avanti, così. Anche da piccolo avevi sempre il sangue dal naso, che tua nonna si spaventava così tanto”. Con la testa piegata in avanti e il ghiaccio sulla nuca, Diego rabbrividisce, ma in breve il sangue si ferma. Sistemati occhio e naso, Maria prende un unguento marrone e fa per metterlo sul labbro di Diego, che si ritrae: “No Maria la schifezza no! Ma esiste ancora?” Michele e la madre ridono ma Maria non desiste e gliene spalma un po’ con attenzione “sono d’accordo, fa schifo, ma domani andrà già molto meglio. Almeno riuscirai a parlare senza sentire troppo male”. 
Diego sospira: “Michele mi caccerà, gli dà così fastidio quella puzza”.
“Nessuno ti caccerà Diè” Michele, seduto vicino a lui gli tiene le mani, le accarezza. 
“A posto Diego; ora una bella notte di sonno e domani andrà già meglio. Dai andate, via!” Maria dà un bacio a tutti e due e li sospinge verso la camera da letto.
Una volta dentro Diego si siede sul letto e sospira: “Ma tutta la mia roba, i miei vestiti… ma dove vado adesso, lei non mi fa più entrare” gli occhi tornano lucidi.
“Non ci pensare, non ti serve niente ora. Tieni, vèstiti che ci infiliamo a letto” gli passa una maglietta che Diego infila non senza difficoltà, mentre lui gli mette i boxer, ma gli sono talmente grandi che tornano miseramente ai suoi piedi. Michele scoppia a ridere mentre Diego scrolla tristemente la testa.
“Dai Diego, non ti demoralizzare, è che io uso quelli larghi, tu invece li porti aderenti… va bene dai, ma devi solo venire a letto, non ti servono, domani vediamo cosa fare. Sotto!” Michele scosta il lenzuolo e Diego si corica accanto a lui, che lo prende subito tra le braccia.
“Senti che sta arrivando un altro temporale. Adesso cerca di dormire cucciolo, va bene? Domani organizzeremo tutto, ora l’importante è che tu stia bene” gli dà un bacio in fronte e Diego si rannicchia contro di lui sussurrandogli “Ti amo tanto Michele. Mi hai perdonato?”.
“Non c’è niente da perdonare Diè. Tutti facciamo qualche cazzata. La mia è stata quella di abbandonarti qui dopo quello che era successo: non dovevo mai lasciarti solo. Ormai è andata così, ma sta’ tranquillo, si sistema tutto. Dormi cucciolo, fai bei sogni”.
“Fai bei sogni anche tu Michi”.
Verso le cinque Michele si risveglia di soprassalto: Diego è agitato e si lamenta nel sonno. Michele accende la luce sul comodino e cerca di svegliarlo ma fatica a farlo. Quando finalmente Diego apre gli occhi lo sguardo è talmente allucinato che Michele ne è spaventato. “Svegliati piccolo, è solo un sogno, tranquillo” lo accarezza e gli ravvia i capelli umidi con tenerezza. “Cosa c’è Diego? Senti male?”. Alla vista di due lacrime che scendono silenziosamente sul viso di Diego si sente stringere il cuore. “Non solo vero? Spiegami il sogno, lo facciamo andare via. Facevamo così anche da bambini: l’incubo raccontato se ne va Diè”. 
Diego si tira a sedere vicino a Michele e lo abbraccia: “Ho paura; non so, non me lo ricordo quasi il sogno, ma mi fa paura Fabri, lui vuole farci del male, ne sono sicuro. Perché ce l’ha con noi, io non lo so, ma non è finita; adesso lui sarà ancora più cattivo” Diego fa una smorfia cercando di avvicinarsi di più a lui e a Michele viene in mente che non gli hanno dato nemmeno un’aspirina: “Diè, ti vado a prendere qualcosa, un’antidolorifico, ma perché non ci abbiamo pensato stanotte? Aspettami qui”. “No, vengo con te; non fare quella faccia, non sono di cristallo! Ho sete, vengo a bere, vado in bagno e torniamo a letto”.
“Non sei di cristallo, ma qualche incrinatura te l’hanno fatta ieri sera; vieni dai che ti porto in bagno e vado a cercarti una pastiglia”.
Dopo poco Diego lo raggiunge in cucina e prende le due pastiglie che Michele gli tende con un bicchiere d’acqua: “Due? Non mi faranno male?”. Lo sguardo di Michele è eloquente, e Diego abbassa gli occhi e le ingoia. Si beve tutto il bicchiere d’acqua e gli fa un sorriso: “Sono stato bravo!”.
Michele lo guarda con la stessa tenerezza con cui guarderebbe un gattino che gioca col gomitolo, e sempre teneramente gli prende il braccio e gli tocca appena i lividi nell’incavo del gomito: “Mai più vero Diè?”. “Mai nella vita Michi, mai”. “Bravo il mio ragazzo. Vieni, ti riporto a letto”.
“Era ora che mi facessi una proposta decente!” ridacchia Diego.
“Ma smettila, dovrei rimetterti insieme come un puzzle dopo! Fila!” Michele gli dà una pacca sul sedere e solo allora si ricorda che sotto alla t-shirt Diego non indossa nulla.
“Però sei una tentazione… peccato” lo riporta in camera e chiude la porta alle sue spalle. 
“Dai Michi, ora l’aspirina farà effetto: e poi non può farmi male fare l’amore no? Però se non ne hai voglia…”.
“Diego non sai quello che dici: fai fatica a respirare per il dolore, e vorresti scopare? Abbiamo tempo dai”.
“Solo qualche coccola… sono due mesi Michele, sono due mesi che aspetto il momento di essere con te, di baciarti, di scopare, di urlare che ti amo” il viso di Diego è irresistibile nonostante i segni delle percosse.
“Ti sei guardato allo specchio Diè?” chiede Michele, ma è sicuro di no glielo avrebbe detto: l’occhio è viola e gonfio, due grossi lividi neri sottolineano gli occhi e si spingono fino alle narici. La bocca invece sembra migliorata, anche se è ancora gonfia. Diego infatti scrolla la testa, negando.
“Ti vedrai domani. L’occhio? Riesci ad aprirlo? Ci vedi bene? Respiri dal naso? Il labbro non ti fa più male? Sembra quasi cicatrizzato”.
Diego sospira: “L’occhio per ora lo lascio chiuso. Respiro abbastanza bene dal naso, anche se lo sento gonfio. La bocca invece non mi fa quasi più male. Quella schifezza dell’ittiolo è un vero portento. Mi baci allora? Anche se puzzo ancora un po’ di catrame?”.
Michele si abbassa su di lui e appoggia delicatamente la bocca alla sua, un tocco lieve, che basta però per eccitare entrambi. Diego gli circonda il collo con le braccia e il bacio si fa più profondo. 
“Diè…”. “Zitto Michi, sto bene”. Michele lo guarda con occhi foschi: “Io dovrei essere il più saggio dei due, e com’è che invece ho voglia di farti davvero urlare come dicevi prima? Diego, io non so se mi fermo ora…”. “E io non voglio che tu lo faccia: dai Michele, fammi sentire quanto mi ami, fallo”. Le carezze si fanno più pressanti, Michele lo attira sopra di lui, sesso contro sesso, gli sfila la maglietta, gli accarezza le spalle, la schiena. Le sua mani arrivano ai fianchi morbidi, lo percorrono fino ad arrivare ad accarezzarlo nel punto più sensibile, lo penetra con un dito e Diego si inarca sospirando il suo nome. Michele lo riappoggia al materasso e si sistema tra le sue gambe: “Diego non ti muovere tu, e se senti troppo male dillo, facciamo in un altro modo”. “Sì, sì, sì Michele ma sbrigati per favore”. Michele non vede l’ora, e lo penetra spiando il suo viso in cerca di una smorfia che ne denunci il dolore, ma Diego sorride ora e lui rassicurato continua a muoversi in lui, finchè vengono tutti e due mordendosi le labbra per soffocare i gemiti. Con attenzione Michele si stacca e si corica al fianco di Diego prendendolo subito tra le braccia per non spegnere il contatto, per sentirsi ancora insieme.
“Michi ti amo, ti amo, ti amo, non mi stancherò mai di dirtelo, ti uscirà dalle orecchie e tu invece sì che ti stancherai di sentirmelo dire, ma è così: non c’è nessuno come te. Ti amo” lo bacia e poi nasconde il viso nel suo collo come sempre: “sei così buono” sussurra fiutandolo e baciandolo e fiutandolo ancora.
Ride Michele, e lo accarezza: “Non mi stancherò mai Diego di sentirmelo dire. Io sono un po’ meno generoso di te, e forse non te lo dirò così spesso come vorresti, ma lo sai che ti amo anch’io, lo sai che non potrei mai stare senza di te”. Stanno per un po’ a coccolarsi, poi Michele gli ordina di dormire: “Altrimenti domani sarai uno straccetto. Riposati ora Diego. Dormi”.
“Sì Michi” Diego obbediente si sistema accanto a lui, la testa sul petto, lo stringe: “Ma tu sei comodo così? Io non te l’ho mai chiesto, ma…”.
“Non potrei esserlo di più amore. Fai bei sogni”. Dopo pochi minuti il respiro di Diego si fa tranquillo e lo sente rilassarsi al suo fianco, mentre lui non riesce più a dormire; sa che Diego ha ragione, chissà cosa starà macchinando ora Fabri. Guarda il viso tumefatto di Diego e sente le lacrime pungergli gli occhi: come l’ha ridotto, senza contare tutti i lividi disseminati sul corpo. Gliene ha date tante, e teme che possa anche fare di peggio. Più tardi parlerò con Gaetano e gli altri, Diego non può girare da solo, bene o male lo accompagneremo a turni. E poi si vedrà, ma le mani sul suo Diego Fabrizio non le metterà più, o sarà molto peggio per lui. Con questi pensieri in testa, Michele sprofonda in un sonno agitato.

2 commenti:

  1. Che bello il finale... ci voleva eccome. E' proprio vero: Michele è la droga di Diego, la sua unica droga per fortuna ora!

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  2. Come sono contenta che finalmente si sono ritrovati. Povero Diego, sta passando un periodo davvero terribile, meno male che ha il suo Michele che lo protegge e che gli sta vicino.

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