sabato 27 aprile 2013

Tra rabbia e passione, sedicesima puntata



Titolo: Tra rabbia e passione (cronaca di una torbida relazione fra trulli ed onore)
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Storico/Commedia/Erotico/Romantico/Introspettivo
Storyline: Fine anni settanta
Rating: PG, slash, rigorosamente NC 17
Disclaimer: si intenda tutto frutto della fantasia e del talento delle autrici. In verità i personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e basta




Diego passò la giornata a cercare di evitare Alfredo, riuscendoci almeno per un po’. Chiese di poter restare in ufficio, con la scusa di aver bisogno di più tempo per finire di aggiornare le statistiche semestrali, e Camporeale glielo concesse. “Va bene Perrone, hai ragione, bisogna pensare anche a questo. Andiamo Alfredo, vieni a farmi da autista tu”. Alfredo guardò Diego con espressione sospettosa, ma lui aveva già chinato la testa sui tasti della macchina da scrivere.
In ufficio da solo, Diego trascorse una bella mattinata: ci mise tre ore a finire le maledette statistiche, ma almeno aveva evitato le domande di Alfredo, la sua presenza ingombrante. Pensò a come poteva fare per sottrarsi. Forse poteva chiedere di cambiare squadra, parlandone col maresciallo. Ma che scusa accampare? Non era facile dare motivazioni in quel mondo, fatto di regole non solo scritte. E lui era solo un appuntato scelto, in pratica non aveva diritti, doveva solo obbedire agli ordini. 
Si affacciò alla finestra e il vento gli portò il profumo del mare. Sorrise, pensando a Michele, che aveva nei capelli quel profumo di salsedine. Michele... A quel nome gli sembrò che il cuore si gonfiasse. E un’altra cosa si gonfiò... ogni volta che pensava a lui gli veniva duro e non poteva farci niente! 
Fortuna che il destino mi ha riservato Bisceglie. Nemmeno nei suoi sogni più audaci aveva mai immaginato che la vita gli avrebbe riservato una sorpresa così bella, che amore e passione sarebbero entrare nella sua vita come in quella di un uomo normale. Il suo ex gli aveva spiegato benissimo quale era la situazione dei froci italiani: sesso nei boschetti, in certi autogrill, nei cessi della stazione, luoghi deputati. E poi, finché sei giovane e carino e hai un bel culo come lo hai tu, tutti ti vogliono. Arriva a quarant’anni e sarei solo un vecchio finocchio patetico da deridere, derubare e picchiare! Così gli aveva detto una volta, dopo una delle prime scopate. Al ricordo dei loro incontri ebbe una specie di conato. No, doveva essere sincero, era schifoso tutto il resto, perché non c’era nessuna forma d’amore tra di loro, nemmeno stima o simpatia. Solo due animali che si davano piacere. Ma l’atto di per sé lo soddisfaceva pienamente. Ma era solo un atto per l’appunto: cinque minuti di stordimento dove dimenticare per quel breve lasso di tempo quanto la sua vita gli faceva schifo. E poi tornare alla realtà, più triste e disperato che mai. Se dopo l’arma, le gare non ci fosse stata Bisceglie... beh, probabilmente Diego avrebbe usato la sua pistola per togliersi la vita. Era solo una questione di tempo. Carabiniere e omosessuale non era una bella accoppiata. Ma ora non sentiva più quel dolore sordo, ora c’era qualcuno che gli aveva teso la mano dandogli così un’altra possibilità. Una possibilità bellissima. Michele lo conosceva solo da pochi mesi, eppure gli aveva già cambiato la vita, offrendogli un destino tutto nuovo. Gli aveva regalato una felicità così grande che quando ci pensava il cuore gli balzava in gola. Ricordò la sera prima, la pioggia che batteva sul tettuccio della Renault, mentre loro si amavano in tutti i modi possibili.
“Perrone, cos’hai da sorridere in quel modo? Allora è vero quello che mi ha detto il piantone stamattina: ti sei fatto la morosa a Bisceglie!”. Diego gli sorrise e non tentò di contraddirlo: se tutti avessero pensato che aveva una ragazza, forse avrebbe avuto più libertà di movimento. Forse anche Alfredo lo avrebbe lasciato in pace. Ecco, doveva parlargliene magari. Non oggi però, non aveva voglia, voleva solo che arrivassero le otto per scappare tra le braccia di Michele.
Alle cinque rientrò l’auto di Alfredo, che si presentò in ufficio da lui immediatamente. Diego si fece trovare indaffarato a sistemare e catalogare rapporti nello schedario, seduto, testa china. L’alzò appena per salutarlo. “Cazzo Diego, hai proprio lavorato tutto il giorno. Cosa pensi di fare stasera? Esci o stai ancora in caserma?” Ecco che comincia l’interrogatorio Diego. Che l’amico si era appollaiato sopra il poggiolo della poltrona. Le dita tra i suoi capelli. Diego pensò che a Michele non sarebbero piaciute quelle confidenze, eppure prima di finire a letto con lui lo considerava normale...
“Stasera esco, ho un appuntamento” Diego arrossì mentre lo diceva. Beh, non era una bugia comunque, ce lo aveva eccome un appuntamento.
“Ah, già, così si vocifera qui in stazione. Ma come l’hai conosciuta questa fantomatica ragazza?”.
Diego pensò che ci sarebbe voluto Michele, lui era più scaltro, avrebbe saputo come rispondere. “Ecco, è… la cugina della ragazza di un atleta che era con me alle gare, a Pescara. L’ho conosciuta lì, e insomma mi piace. Stasera ci vediamo”.
“Ho capito. Bene Diego, divertiti allora, a domani” Alfredo si allontanò con passo scattante, lasciando Diego dubbioso: non si fidava, proprio per niente. Doveva stare attento, si disse.
Comunque era ora di staccare. Sistemò per bene la scrivania e andò a farsi una doccia, quindi si coricò sul letto, per far passare quel paio d’ore che già sapeva sarebbero state parecchio lunghe.
Finalmente arrivò il momento di uscire. Indossò la propria divisa come deciso ma non senza patemi d’animo. Sapeva che non poteva metterla quando non era in servizio, ma contava sul fatto che a quell’ora chi non era a casa si trovava in mensa. Non l’avrebbe visto nessuno, sicuramente.
Arrivò fino al cortile senza incontrare un solo collega, ma proprio mentre metteva un piede sul marciapiede di fuori, si scontrò con Alfredo. Dio, lo avrebbe ucciso davvero in quel momento. Adesso esagerava veramente!
“Diego! Che stai facendo in divisa? Non sei smontato? E dove stai andando così?”.
“Alfredo, se è un interrogatorio, pretendo un avvocato!” Diego cercò di metterla sullo scherzo, sorridendo e sbarrandogli gli occhi in faccia, ma Alfredo era davvero alterato, e non volle sentire ragioni: “Tu adesso torni dentro e ti cambi, ti metti in borghese se vuoi uscire. Ma chi ti credi di essere? Tu sei strano in questi giorni, ma guarda che io ti tengo d’occhio!”.
La tentazione di strangolarlo proprio lì e in quel momento era fortissima, ma Diego si controllò. Guardando fisso a terra, e dondolandosi sulle gambe, come intimidito, si giustificò: “Vedi Alfredo, lei, Mi... Mirella... mi ha chiesto di indossare la divisa. Mi devo presentare ai suoi, capisci? Se mi vedono così, magari avranno meno problemi… a lasciarla uscire, no? Cerca di capire, mi piace, e molto, vorrei proprio riuscire a stare con lei”.
Alfredo lo guardò e Diego vide cattiveria nei suoi occhi, e ne ebbe paura. “Io non dirò niente Diego, ma se ti beccano sono cazzi tuoi. Non sperare che ti dia una mano stavolta” girò i tacchi e se ne tornò in caserma. Sbuffando e rabbrividendo non di freddo ma di paura, Diego corse via, verso la strada periferica dove erano d’accordo di trovarsi con Michele.
Da lontano vide l’auto rossa e il suo cuore balzò in cielo. Cominciò a correre, mentre Michele si avvicinava lentamente. Saltò a bordo e subito l’autista accelerò per evitare di farsi vedere da qualcuno. Il cielo era ancora chiaro, ma a quell’ora per fortuna quasi tutti erano a casa a cenare.
A differenza delle precedenti ventiquattro ore dove la pioggia era caduta incessantemente, quel giorno uno splendido sole l’aveva fatta da padrona, e alle otto della sera faceva ancora piuttosto caldo. Michele sbirciò a malapena Diego. Quando lo aveva visto arrivare da lontano con la divisa, la schiena gli si era immediatamente imperniata di sudore e un’erezione dolorosa tentava di distruggere la salopette da lavoro, che già di solito non aveva pietà dei suoi attributi. Come è bello! Mamma mia perdonami ma come cazzo è bello... Ma guarda che mi doveva capitare! Uno come me che subisce il fascino della divisa! Qui il mondo si è rovesciato! Gli era mancato il respiro e ora che lo aveva vicino, che riusciva a sentire il suo profumo del suo bagnoschiuma, annaspava dalla voglia che aveva di trovarsi solo con lui per dirgli quanto gli piaceva e cosa provava. E lo stesso era per Diego, il quale, per scongiurare la voglia di toccare e baciare il compagno, si prefissò di guardare il panorama, catturato dagli ulivi e dalle masserie, come un turista che vede la Puglia per la prima volta.
Con i finestrini aperti, filarono sulla provinciale, e in breve arrivarono al luogo dei loro incontri.
Michele spense il motore e si prese Diego tra le braccia con urgenza. Si strinsero come se non si vedessero da mesi.
“Diè, non ce la facevo più, ero indeciso se fermare la macchina e rischiare di farmi vedere mentre abbracciavo un carabiniere, o se accelerare per arrivare prima possibile” il cappello di Diego cadde lasciandogli scoperta la testa. Felice come non mai, il torinese si lasciò tastare, carezzare, ravvivare i capelli, contento solo di essere tra le sue braccia.
“Stasera usciamo da qui però. Andiamo laggiù” indicò un promontorio di paglia dismessa. “Là è ancora coperto, è asciutto. Veramente è asciutto dappertutto, il sole ha fatto un bel lavoro oggi”.
Scesero dalla macchina e dopo aver steso il telo che Michele aveva portato da casa, andarono a sedersi su un mucchio di balle. Ricominciarono ad abbracciarsi e ad accarezzarsi: Michele guardò Diego che aveva un’espressione radiosa: “Ma sei sicuro che non ti infastidisce questa tuta? Guarda che lo capisco se puzza, non mi offendo mica se mi dici che puzzo pure io!”.
Diego scrollò la testa: “Niente di te può infastidirmi Michele, niente. Sotto questa tuta ci sei tu, solo tu, il mio bellissimo uomo” gli mise il naso nel collo com’era sua abitudine e lo fiutò. Michele pensò a Gemma e a quello che gli aveva detto solo poco prima: Visto stronza? Lui si che mi ama! “Ti amo Diè, ti amo e scusa ma è tutto il giorno che ti penso, che ho voglia di far l’amore, senti come sono romantico, non ho detto scoparti, ho detto di fare l’amore. Ora che ti ho visto vestito da carabiniere, non resisto più”
“Ti amo anch’io” Diego gli infilò le dita tra i capelli e gli baciò la fronte, il naso, affondò ancora nel collo riempiendoglielo di baci, quindi gli sussurrò sulla bocca: “Ti piacerebbe ora se un carabiniere ti facesse il più bel bocchino che tu abbia mai avuto?”.
Michele si sentì sciogliere, ma in un rigurgito di ironia gli disse: “Guarda che un carabiniere me lo ha già fatto qualche sera fa: sarai all’altezza?”.
“Contaci” tornati in piedi, Diego gli abbassò le bretelle della tuta che scivolò via insieme agli slip. Infilò le mani sotto la maglia blu da lavoro per accarezzarlo, mentre si inginocchiava ai suoi piedi per baciargli il petto e la pancia, leccandolo ovunque riuscisse ad arrivare. “Il mio bell’operaio… quanto sei bello, dio quanto sei bello, quanto ti amo…” Diego sussurrava queste parole mentre con la bocca si avvicinava al sesso che teso verso di lui, sembrava in attesa come il resto del corpo. Diego lo tenne tra le mani delicatamente, come se fosse di cristallo e, guardando il suo amore che a sua volta lo guardava implorante, glielo prese tra le labbra. Con gli occhi dilatati Michele non riusciva a distogliere lo sguardo da lui, dal suo viso, dalla sua bocca che ora percorreva il suo punto più sensibile. Gli afferrò i biondi capelli stringendoli e tirandoli. Diego alternava baci a morsi, e poi riprendeva a scorrere su e giù, mentre Michele gemeva, completamente in balia di quel trattamento: “Cazzo Diè, hai ragione, è il più bel bocchino che mi abbiano mai fatto. Come cazzo fai”. Diego era bravo, proprio bravo, e per un attimo il pensiero che era certezza di non essere il primo, lo rattristì. Quanto gli sarebbe piaciuto se si fossero scoperti insieme! Invece, anche se Diego non lo aveva ammesso, lui sapeva che aveva un passato, un oscuro e angoscioso passato in cui aveva succhiato il cazzo di un altro con lo stesso ardore e la stessa dedizione che aveva per lui in quel momento.
“Aspetta, ti voglio parlare” lo interruppe.
“Parlare?” Diego non credeva alle sue orecchie: se Michele voleva parlare in quel momento forse non era così bravo allora! L’operaio si abbassò su di lui per abbracciarlo. “Sono geloso” ammise con la sua testa sulla spalla. Poi gli baciò una guancia. “Ti amo e penso che non sono stato il primo”
A Diego mancò un po’ il fiato. Era felice però, quasi gli veniva da piangere. “Non è importante Michi. Non sei stato il primo con cui l’ho fatto ma sei il mio primo amore. Non è poco, no?”
“Non è poco, hai ragione” Michele lesse sincerità nei suoi occhi, e si riprese da quello stordimento. “Allora ricomincia”
“Sicuro che è passato?” Michele non rispose e si limitò ad accompagnare la punta di nuovo tra le sue labbra. Dopo qualche minuto, con un guizzo riuscì a sottrarsi a quella delizia poco prima di venire. “Fermo Diè fermo. Non farmi venire così, la serata è ancora lunga” respirando profondamente si prese Diego, ancora completamente vestito tra le braccia. Gli slacciò la giacca e la camicia e afferrandolo per il cravattino, lo attirò a sé. “Volevi farmi impazzire vero? Ma ora sarò io a fare impazzire a te, carabiniere” mentre il respiro di Diego cominciava a farsi affannoso, Michele gli tolse i calzoni e gli slip, e lo coricò brutalmente sulle balle di schiena, cominciando ad accarezzarlo tra le gambe in maniera fin troppo energica. Appoggiato col gomito sulla paglia Michele osservava l’espressione del compagno mentre gli prendeva il pene sempre rudemente, massaggiandolo su e giù. Diego chiuse gli occhi piegando la testa all’indietro, ma Michele gli ordinò: “Guardami Diego, voglio vedere i tuoi occhi, fammeli vedere Diego!”. Lui li riaprì e li fissò nei suoi, lamentandosi debolmente. Michele si rendeva conto di essere un po’ brutale, ma ormai si sentiva catturato in un vortice di piacere, dal quale non voleva e non poteva uscire. All’improvviso mollò il sesso di Diego, che con le mani aggrappate alle sue spalle rilasciò il fiato, e, sentendosi abbandonato, lo guardò smarrito. “Michi…”.
“Shh… vieni Diego, vieni bel carabiniere. Ti avevo detto che la prossima volta ti avrei legato io. E io mantengo le promesse Diè…”. Michele lo aiutò ad alzarsi a sua volta. Da dentro la giacca che Diego teneva ancora su, tirò fuori le manette e iniziò a farle oscillare tra le mani lo sguardo sadico quanto basta. Diego, soggiogato dai modi e dal piglio del compagno, sembrava pronto ad eseguire ogni suo ordine. Gli tese i polsi guardandolo con la bocca semiaperta, il respiro corto e affannoso.
Michele gli prese le mani e gliele baciò, quindi gli mise le manette e accompagnandolo al gancio dove Diego aveva ammanettato lui, lo baciò in fronte e gettato un ultimo sguardo nei suoi grandi occhi, lo girò verso il muro e lo fissò.
Gli si attaccò alla schiena, circondandolo con le braccia e gli accarezzò il petto quasi glabro, scendendo via via, tornando a massaggiargli l'uccello. Diego sentiva il sudore scorrergli sulla schiena e sul petto: aveva ancora la giacca e la camicia benché abbassate sulle spalle. Sentiva caldo, e aveva voglia di sentire Michele dentro di sé. Appoggiò la fronte al muro e lo implorò: “Michele ti prego, ti prego, ti prego!”.
“Sì Diego, sì è ora, sentimi Diego”.
Dopo averlo preparato il minimo indispensabile, entrò in lui con decisione, mordendolo sul collo, sulle spalle, leccando il suo sudore, muovendosi dentro e fuori mentre Diego gli urlava il suo amore, avvicinando i fianchi, ficcandosi le unghie nei palmi. Ad ogni strattone i polsi legati stridevano contro il metallo ferendosi. Nonostante quello che era più di un fastidio o forse per merito proprio di quel dolore, Diego venne per primo, appoggiandosi completamente al muro, senza forze, mentre Michele ebbe bisogno ancora di qualche spinta, e finalmente venne in lui, chiamando il suo nome, implorandolo di non lasciarlo mai.
Rimasero per un po’ uniti, fermi, cercando di riprendere contatto con la realtà, poi Michele si staccò e liberò le mani di Diego. Noto subito i segni che le manette avevano lasciato sui polsi.
“Scusami Diego, oddio ti ho fatto male. Non pensavo…” l’espressione sgomenta. Diego scosse la testa e gli mise la mano sulla bocca, sorridendo: “Va tutto bene Michi; sto bene. Sto benissimo” si strinse al suo petto, e Michele gli baciò i capelli, portandolo poi verso il telo e facendolo sedere. “Sei tutto sudato. Ti tolgo la giacca dai, respira un po’” lo spogliò proprio come quella notte a Pescara, finché non fu completamente nudo. La pelle qua e là ancora chiazzata dai rossori del piacere; il sudore lo copriva come una seconda pelle. Sdraiatosi al suo fianco, Michele lo accarezzò dolcemente, gli prese i polsi e glieli baciò: “Diego sono stato maldestro, io non volevo farti male; mi piaci troppo, perdo il controllo quando sto con te. Ma a me non sono rimasti i segni però”.
Diego si rannicchiò tra le sue braccia: “Tu sei più alto Michi, diciamo che io ero un po’ appeso!”.
“Cazzo! E dovevi dirmelo no! Sei proprio un salame! In tutti i sensi!” lo strinse forte a sé mentre Diego rideva.
“Non sono un fiorellino delicato, un po’ di sofferenza non mi ucciderà, anzi...” fece l’occhiolino. C’erano ancora tante cose che dovevano capire del loro rapporto. Cose che ancora ignoravano e andava bene così, visto che erano arrivati a quel punto senza patemi d’animo.
“Invece sei delicato Diè, e sei prezioso per me, e non voglio che tu soffra; sei il mio unico bene”.
Diego bevve quelle parole come un assetato avrebbe tracannato acqua fresca di fonte. “Ma no, sono forte! Non sono delicato. E mi è piaciuto un sacco Michi. Avevo tante fantasie su di noi, ma quello che è successo qui stasera le supera tutte”
“Ti sbagli su questo piccolo. Ci sono tante cose che dobbiamo ancora fare. Vedrai”
“Infatti” Diego pensò che in quel momento ce n’era una, una soltanto delle tante, che avrebbe voluto fare. E trovò coraggio... con cautela appoggiò la labbra su quelle di Michele. Il contratto tra i baffi creò come tante scosse elettriche. “Vuoi baciarmi Diè?” la voce scappò profonda. Diego rispose di sì e lo fece. Mappò le labbra qualche secondo con un dito, lo lasciò scivolare dentro e poi, senza toglierlo, iniziò con tanti piccoli bacini ai quali l’altro rispose con altrettanti bacetti. Andarono avanti davvero per diversi minuti, il sole fuori nel frattempo si era fatto sostituire da un bel cielo azzurro stellato. E loro, al buio quasi completo, continuavano a baciarsi così. Poi la lingua di Diego cercò la sua. Le lingue si leccarono a vicenda fuori dalla bocca prima che un bacio vero divenne un’urgenza troppo grande da rimandare. E infine le bocche si fusero, le mandibole scrocchiarono, fu un piccolo rumore sordo. Diego gemé. No, così aveva mai baciato nessuno. E nessuno aveva mai baciato così lui. Michele ad un certo punto s’interruppe: “Troppa passione mi sa... io ho il cuore che sembra volermi schizzare fuori dalle ossa. Che succede...”
“Non lo so ma è bellissimo. Lasciamo che succeda” e tornarono a baciarsi ancora.
Prima che i loro giovani corpi si sentissero appagati, lo fecero altre due volte. Completamente annichiliti da stanchezza e piacere, si appisolarono sul loro giaciglio improvvisato dove Michele dormì. 
Due ore dopo Diego era ancora sveglio. Pure lui era stanco ma appena chiudeva gli occhi, gli arrivava addosso una paura strana, come se addormentandosi, al suo risveglio avrebbe scoperto che era stato tutto un sogno, un’allucinazione. Magari ho uno di quei mali strani che prendono al cervello. Non può essere tutto vero, no. Forse Michele non è altro che la proiezione di una mia fantasia. Magari sta succedendo solo nella mia testa! Spaventato si tirò su e, siccome la sola luce della luna non gli permetteva di vedere bene il compagno, prese a tastarlo come ad accertarsi che fosse vero e non un fantasma. La mano passò sopra il ventre rientrato, superò la folta peluria del pube e si attaccò al pene molle. Anche i testicoli sembravano prosciugati. Ok, se non è un sogno e sta succedendo davvero, se continuiamo a scopare così ci ammaleremo! Se penso che Michele veniva pure da undici ore di lavoro... Diego guardò il suo orologio: due e mezzo. Doveva per forza di cose svegliarlo, ma gli dispiaceva. Sembrava così sereno il suo respiro. Baciandogli i capelli gli accarezzò le ciglia folte: “Ti amo” pochi secondi dopo si sentì rispondere:
“Ti amo anch’io ma lasciami dormire!”
“Domani si lavora. Tutti e due, devi riportarmi a casa sono quasi le tre”
Michele spalancò gli occhi: “Quanto cazzo ho dormito?! Pensavo solo di essermi assopito un po’” mestamente si tirò su puntellandosi sui gomiti. Senza aggiungere una parola, Diego si rimise la divisa. “Ho rischiato grossissimo, senza contare che ora è tutta sgualcita! Oggi dovrò indossare quella estiva con un po’ di anticipo” commentò il carabiniere cacciando le gambe nei pantaloni. Rischiarati solo dalla solita luna e un’eccezionalità di stelle, tornarono alla macchina. Retromarcia e via, sulla strada sferrata. Poi la provinciale. Non si dissero quasi niente fino a sotto la caserma. “Tanto a quest’ora non c’è nessuno. Non aveva senso farti camminare piccoletto” Diego annuì. Erano passate le tre. Non si baciarono però, e con un sorriso reciproco si diedero appuntamento per il giorno seguente.

2 commenti:

  1. wow che scena mozzafiato. Diego deve essere sembrata quasi una visione a Michele con la sua bella divisa, il berretto e i baffetti tanto che quasi non credeva fosse li con lui. Finalmente si sono scambiati il loro primo bacio. Era ora. Ma è accaduto quando entrambi hanno una tale consapevolezza di quello che provano da renderlo inevitabile. Meravigliosa la scena di sesso sulla balla e quella con Diego ammanettato. Diciamo che si sono davvero sbizzarriti. Peccato per l'ombra ingombrante di Alfredo che temo potrà causare non pochi problemi alla neo coppia.

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