giovedì 18 aprile 2013

Tra rabbia e passione, quattordicesima puntata



Titolo: Tra rabbia e passione (cronaca di una torbida relazione fra trulli ed onore)
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Storico/Commedia/Erotico/Romantico/Introspettivo
Storyline: Fine anni settanta
Rating: PG, slash, NC 13
Disclaimer: si intenda tutto frutto della fantasia e del talento delle autrici. In verità i personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e basta





Dalla domenica sera Michele e Diego dovettero loro malgrado tornare alle rispettive vite. Michele era grato che suo padre si fosse ripreso da quella ‘quasi’ depressione, con le uscite misteriose e lo zio che diventava sempre più presente nella sua vita. In caso contrario non avrebbe saputo come gestire la storia con Diego, di certo non poteva pensare di andare a Pescara e abbandonare l’anziano a se stesso. “Ti sei trovato la ragazza, non devi dirmi altro” commentò lui al suo rientro: Michele, con la busta del cambio in mano e un sorriso rilassato che gli partiva da parte a parte, non negò. Anche gli occhi gli ridevano, era raggiante e basta. E come poteva non essere felice? Dopo la mattinata riservata alla cerimonia di premiazione, liberi da qualsiasi impegno, lui e Diego si erano rifugiati nella stanza presa da Michele per trascorrere un autentico pomeriggio d’amore. La stanza l’aveva dovuta pagare fino al lunedì, ma non si può dire che il letto non lo avesse sfruttato pienamente! Entusiasti ma stanchi erano infine riusciti ad uscire da quella stanza e di corsa prendere l’ultimo treno utile per Bari, e alle otto e quindici di sera essere di nuovo a Bisceglie. Il giorno dopo Michele si sentiva ritemprato. Sfoggiò la maglietta a maniche corte non temendo le domande dei colleghi relative ai lividi. Gli sembravano parte della vita di un altro, non la sua; ora la sua era piena dell’amore di Diego, del piacere che Diego gli offriva così generosamente anima e corpo, che importava se per arrivare a quella felicità si era preso un pacco di botte? A quello stava pensando la sera del giorno successivo mentre si recava a radio Babushka. Trovò i suoi amici in allegria, intenti a cucinare pasta. Non Gemma che quando lo vide si scurì in volto. Si alzò per raggiungerlo, malgrado l’orgoglio di donna abbandonata le suggerisse di stargli alla larga: “Ciao Michele, che fine ai fatto?” Si avvicinò: “E che sono quegli occhi pesti, ti hanno picchiato?” Anche il compagno Pazienza si avvicinò per fare le stesse domande. Qualcuno ipotizzò che fosse stato a Roma, dove si era svolta una grossa manifestazione sindacale, con il supporto del PCI.
“E magari si è beccato le botte da qualche fascio, visto che non ci risultano cariche della polizia” azzardò Pazienza. Così, in breve tempo, si sparse la leggenda metropolitana che Ortica aveva passato il fine-settimana a fare a botte contro quelli dell’OLP, un gruppo di estrema destra. Michele pensò che non ci fosse niente di più distante da quella versione ma quella versione gli faceva comodo per coprire il suo menage con Diego. Le uniche lotte che aveva fatto erano state nel letto con l’amante carabiniere, ed era così dolce come finivano... E ai lividi davvero non ci pensava più. Anche se tutte le volte che gli riveniva in mente la faccia di Alfredo bruciava dal nervoso. La cosa che più lo infastidiva era che il suo povero Diego ora fosse costretto a fare di nuovo comunella con lui come se niente fosse. A quel pensiero strinse i pugni. Finito il suo piatto generoso di linguine allo scoglio, notò che Gemma era finita in un angolo e sentì il bisogno di chiarire con lei e si andò a sederle vicino. “Ti va di parlare?”
“E di cosa?” scattò muovendo la criniera disordinata: “Non ti basta essere l’eroe della situazione? Con quei segni in faccia sembri Carnera”
“E tu che ne sai di Carnera? Donna e compagna, ti intendi di pugilato?” Michele gli passò una mano sulla schiena ma smise subito di accarezzarla quando lei s’irrigidì. “Tanto l’ho capito che ti sei trovato un’altra. Altro che botte con quelli di lotta di popolo. Tu hai lottato tra le cosce di una bagascia. È vero?”
Michele realizzò che ‘intuito femminile’ non era una cosa tanto per dire. “Senti, qualcosa di vero c’è” ammise: “Sia nelle botte sia nel fatto che ho una storia. Ma non volevo mancarti di rispetto Gemma. Ci siamo piaciuti il tempo che è durata ma ora è finita. Mi porti rancore?”
“Un po’ si, posso essere un po’ incazzata?” Domandò sforzandosi di non piangere. Michele annuì, certo che poteva. “Lei è più carina di me?” No, ha solo i baffi, ridacchiò pensando di rispondere così. “Non è più carina di te, no di sicuro. È diversa Gemma, solo diversa, molto diversa da te... molto...” arrossì.
Gemma lo fulminò: “Più colta? Più impegnata? Più intelligente. O no, non me lo dire: scopa meglio di me?”
Michele si agitò, che poi tra l’altro era tutto vero. Diego era più colto di lei, più impegnato e più intelligente. Ovviamente sul fronte del sesso nemmeno a parlarne... non si potevano nemmeno paragonare! Si disse che era veramente meschino ma pensò: al confronto di Diego farlo con Gemma è come infilarlo in uno straccio bagnato avvolto...
“Gemma, questi paragoni sono fuori luogo! Siamo stati bene ti ho detto, ora però mi vedo con un’altra... persona, ok? Tu non hai mai promesso niente a me e io a te. Va?” Per finire le baciò la fronte e poi tornò dai compagni. Intanto alla radio passava Rino Gaetano e Michele pensava a quando e come sarebbero riusciti a vedersi lui e Diego.


Se per Michele era stato un lunedì difficile, per Diego fu anche peggio. Alfredo, sempre lui la causa! Non faceva che stargli addosso, tartassandolo di domande e di commenti. E non la smetteva più di parlare di Michele... “Lo abbiamo fatto sparire dalla circolazione. Si dice che sia andato a Roma, da qualche parente, per proteggersi” spiluccando le fave continuò, erano in auto che aspettavano il loro maresciallo, dal tabaccaio a prendere le sigarette. Aveva ricominciato a piovere, ma era quasi giugno, cavolo in Puglia piove come a Torino? “Non è importante Alfredo, ha capito la lezione e ora non avrò più problemi a spogliarmi in piscina” tossicchiò: “Dunque non dovrai più accompagnarmi” Alfredo si risentì, sembrava come se volesse toglierselo di torno. Aveva sentito parlare della freddezza dei torinesi, e forse era solo l’orgoglio a farlo parlare così, decise. Alfredo allentò la presa: “Te la caverai, sì Diè, te la caverai. Quell’impiastro ha capito la lezione” concluse. Il ritorno di Camporeale li tolse dall’impaccio.
“Allora Perrone? Non abbiamo ancora avuto modo di parlarne. Dico delle sue prodezze” disse il maresciallo una volta salito sull’auto.
Diego a quelle parole si sentì gelare: cosa avevano scoperto? Ma non era possibile. Alfredo aveva parlato di Michele proprio ora! Mentre il suo cervello si contorceva in questi pensieri, la bocca non riusciva a pronunciare una sillaba, completamente secca. Alfredo mise in moto e partì mentre Camporeale si girava verso Diego: “Allora? So che è per merito tuo se abbiamo acchiappato il secondo posto nella gara della staffetta. Complimenti. Bisogna tenere alto l’onore della Benemerita anche in queste cose”. Si risistemò sul sedile del passeggero, mentre Diego sul quello posteriore si rilassò: “Ah, certo grazie. È stata una bella esperienza; conto di migliorare ancora però, la prossima volta vorrei fare anche meglio di così!” dentro di sé sorrise: non era stata certo quella gara l’esperienza più bella del suo fine settimana.
Mentre guardava fuori dal finestrino rifletté: ora diventava tutto più difficile. Come potevano vedersi senza farsi notare da tutto il paese? Fossero stati almeno due uomini comuni; invece Michele era il più famoso piantagrane di Bisceglie, che si divideva fra sindacato e politica e non perdeva una sola occasione per creare scompiglio, e lui un carabiniere. Certo, non era tra i più conosciuti, era da poco là, ma il fatto di essere l’unico settentrionale della brigata, lo rendeva abbastanza riconoscibile!
In qualche modo avrebbero fatto, si disse Diego, non posso più fare a meno di lui. Devo per forza vederlo, toccarlo tutti i giorni. Ripensò al sabato, quando lo aveva fatto dormire tra le sue braccia. Era stato anche meglio di fare l’amore. Gli scappò da ridere e nascose la bocca con la mano. Insomma magari non meglio, ma era stato così bello sentirsi coccolare, lasciarsi andare al sonno sotto le sue carezze.
“Perrone, stai dormendo? Le ho chiesto quando sono le prossime gare”. Il Maresciallo urlò al suo indirizzo, mettendosi a ridere al suo sobbalzo.
“Mi scusi Maresciallo, probabilmente la stanchezza; non dormo. Le prossime gare saranno a ottobre. Voglio allenarmi molto in questi mesi”. Diego non aveva affatto voglia di fare conversazione, ma Camporeale era un chiacchierone: doveva rassegnarsi e stare attento, avrebbe pensato a Michele più tardi.
Alle cinque finalmente il turno di Diego finì: fece a due a due i gradini che portavano alla sua stanza e una volta appoggiati sul letto gli abiti civili che avrebbe indossato poi, si precipitò nei bagni per farsi una doccia. La pioggia non impediva al caldo di farsi sentire in quel mese di maggio, e dover indossare camicia e giacca regolamentari stava diventando una tortura. Poteva essere un altro motivo per lasciare l’arma, disse tra sé. Ne avevano parlato un po’ con Michele durante il viaggio di andata. Aveva ragione lui, non era fatto per quel mestiere. Era lì solo per il nuoto. Al diavolo, ci avrebbe pensato un’altra volta anche a quello. Ora voleva solo vedere il suo amore. Uscendo dagli spogliatoi andò a sbattere contro Alfredo. Santo cielo, sempre tra i piedi!
“Diego vieni a mangiare qualcosa? Vado in pizzeria con Savino e Tano. Stiamo un po’ in compagnia”. Diego si sforzò di essere gentile ma stasera avrebbe voluto mandarlo cortesemente affanculo. Non ne poteva più della sua insistenza, era opprimente, ma doveva far buon viso: era soprattutto colpa sua se si trovava in quella situazione. Se non gli avesse detto niente di Michele quella sera in piscina, se non si fosse appoggiato a lui... Non ci faccio niente con i sé...  Decise di guardare avanti, in qualche modo avrebbe fatto, ma se lo sarebbe tolto di dosso.
“Ti ringrazio Alfredo, ma sono davvero stanco, ho il cervello annebbiato! Sono stati davvero tre giorni intensi. Penso che mangerò qualcosa alla mensa e andrò subito a letto. La prossima volta vengo però” gli fece un sorrisetto e si avviò verso la sua stanza. Alfredo si allontanò a sua volta scuro in viso.
Diego si vestì in fretta, allegramente. Avrebbe voluto rimettersi la tuta, visto il successo con Michele, e, soprattutto l’effetto che aveva su di lui, ma era in lavanderia. Si infilò i jeans e una maglietta nera. Per precauzione si mise sulle spalle un maglioncino bordeaux a piccoli disegni bianchi e prese l’ombrello, fuori la pioggia continuava a cadere. Guardò l’ora: le sei e trenta. Pensò che non si erano nemmeno messi d’accordo: e se fosse uscito? Non ci aveva pensato. Impegnato com’era lui, magari aveva altri appuntamenti e non lo avrebbe trovato a casa. Non importa, ormai aveva deciso che sarebbe andato sotto casa sua, se proprio non lo avesse trovato, sarebbe tornato tristemente al suo letto in caserma.
Per strada lo accolse un diluvio con tutti i crismi. Aprì l’ombrello nero e piegato in avanti contro il vento si diresse verso la via di Michele. Passò nelle viuzze interne per non rischiare di farsi vedere troppo, anche se con quel tempo era l’unico ad aggirarsi per le strade del paese. Giunto sotto casa di Michele non vide la Renault, e sentì un tuffo al cuore: non c’era, il suo amore non era a casa. No magari aveva parcheggiato lontano, impossibile, era sicuro che anche lui lo volesse rivedere. Si avvicinò al portoncino e fu con spavento che si sentì trascinare all’interno. L’ombrello cadde sul marciapiede e lui si ritrovò fra le braccia di Michele.
“Quanto tempo ci hai messo piccolo? È un’ora che ti aspetto qui sotto, le ho pensate tutte, che ti avessero tenuto in servizio, che Alfredo ti avesse obbligato a seguirlo da qualche parte, o che non ti sentissi bene” intanto lo stringeva forte accarezzandogli teneramente la schiena. Le nocche passavano rapide sulla maglietta umida di pioggia e di sudore.
Diego gli allacciò le braccia al collo e lo riempì di bacetti sul collo: “Michi, ti pare? Nemmeno la febbre a quaranta mi avrebbe tenuto lontano da te, è tutto il giorno che ti penso Michele, tutto il giorno che penso alle tue mani su di me”. Guardando quei magnifici occhi neri si alzò in punta di piedi e gli baciò il naso e le guance. Tutto il suo corpo implorava la sua bocca, ma non osò, certo che a Michele non sarebbe piaciuto, anche se non capiva questo blocco da parte sua, dopo tutto quello che avevano fatto, che si erano inventati, ma intendeva rispettare i suoi tempi.
“Che facciamo Diego?” gli scrollò le spalle nervoso. Poi dopo essersi accarezzato la nuca, chiarì: “Di sopra c’è mio padre, stasera non esce cazzo! Poveretto, piove che Dio la manda! Ha anche ragione, ma io volevo rimanere solo con te. Se vuoi andiamo a bere qualcosa, aspettiamo che vada a letto”.
“Andiamo a fare un giro Michi, prendiamo la macchina e andiamo”.
Michele annuì, raccolse l’ombrello di Diego e lo scrollò per far uscire l’acqua, quindi stringendosi per ripararsi dalla pioggia, andarono a recuperare l’auto, parcheggiata una via dopo. Michele aprì la portiera e fece salire Diego, quindi corse a mettersi al volante, gettando l’ombrello dietro al sedile.
“Ma tu hai mangiato Diè? Io ho rosicchiato una mela e basta… ma non ho voglia di andare a rinchiudermi in un ristorante, ho voglia di stare solo con te. Senti, mi fermo un attimo da zì Teresa, e prendo qualcosa” si diresse velocemente verso la bottega e altrettanto veloce scese dall’auto: “Aspettami qui, torno subito”. Si infilò nel negozio giusto cinque minuti prima della chiusura, ma tanto era un cliente abituale lui, erano amici. Fece una bella scorta di panini e birra e rituffandosi sotto la pioggia tornò in macchina, passando la sporta a Diego.
“Senti io non so dove andare: e se andassimo nel fienile? Che ne dici? Stiamo tranquilli, ceniamo, chiacchieriamo” Michele guardò l’amico con espressione interrogativa, e ne ricevette in cambio un sorriso di assenso. “Bene, andiamo allora”. 

1 commento:

  1. Che duro il ritorno alla realtà per i nostri innamorati. Fortuna che ci sono i ricordi delle giornante trascorse insieme ad accompagnarli fino al prossimo incontro. Bellissimo lo scenario del paesino sotto l'acqua, le viuzze, Diego e Michele al riparo, prima nel piccolo portoncino e poi nella Renault del pugliese a progettare ogni dettaglio del poco tempo insieme

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