lunedì 11 marzo 2013

Un padre e un padre, quarta, quinta e sesta parte





Titolo: Un padre e un padre
Sottotitoli: Presepe e ricordi, Bocche cucite non fanno danno, Diavoli angelici
Pairing: Diego Perrone (Padre Andrea)/ Michele Salvemini
Genere: AU/Drammatico/Romantico/Introspettivo
Raiting: PG, slash
Disclaimer: Adattamento della fan fiction Un padre e un padre, di cui la versione originale si trova qui. Un padre e un padre
Come sempre è tutto frutto di fantasia, i personaggi sono originali, ho preso in prestito i nomi per ispirazione  artistica e non per insinuare qualcosa!





Presepe e ricordi


Padre Andrea passò la notte rigirandosi più volte nel letto. Dopo essersi alzato, si affacciò stancamente a guardare fuori dalla finestrella per controllare se avesse fatto giorno. Si accertò che la notte la faceva ancora da padrona, ma non doveva mancare molto all’alba. Aveva nevicato ininterrottamente dunque un manto di neve alta oltre quasi venti centimetri circondava la piccola cattedrale. Era sabato, e tanto per Andrea quanto per Donato non contava più molto domandarsi quanti sarebbero stati coloro che avrebbero presenziato le funzioni. Anche perché l’unico a tenerci veramente era il prete più giovane. Alle sette in punto iniziò la messa. Donato dormiva ancora. Non essendo le stanze dei due sacerdoti tanto distanti dalla basilica, era lecito domandarsi se, dato il silenzio, non si sarebbe sentito il russare del vecchio ubriacone. Anche se a lamentarsene sarebbero state solo le due sorelle Maggi, la vedova Emilia Savelli, e due uomini che non aveva mai visto. Finita la prima funzione, si dedicò alle sue piante e gli animali da cortile. Pranzò. Donato presenziò solo quella del pomeriggio che si rivelò la più vivace poiché c’erano i bambini della prima comunione. Volevano mettere su il Presepe con quel poco che avevano. Andrea, dal suo osservatorio speciale dietro la navata, notò subito i figli di Salvemini e si domandò se fossero venuti da soli o li avesse accompagnati il padre. E le accuse di Padre Donato tornarono a turbarlo. I bambini avevano in mano delle piccole statuette di legno sicuramente opera del lavoro artigianale del padre. Michele Salvemini non era solo un competente tagliaboschi, costruiva oggetti di legno che, qualche volta, riusciva a vendere o a barattare con vestiti o cibo.
Padre Andrea attese la fine della funzione prima di osservare il lavoro dei ragazzi. Gli oggetti dei piccoli Salvemini erano deliziosi. Dai dettagli si evinceva la solerzia con la quale ci aveva lavorato. Erano quasi commoventi e l’emozione che travolse il sacerdote lo avrebbe fatto star male per le successive ore. Di fatti, quella sera Andrea non toccò praticamente cibo e stette alla larga da suo collega. Lo implorò di non frequentare la botte come la sera precedente. Gli giunse come risposta uno sberleffo. Tra le quattro mura della sua stanza, dovette tornare a combattere contro i suoi demoni. Non sapeva che volto avessero, che voce avessero, ma ne sentiva la presenza ogni qual volta pensava a Michele. Ed era tremendo perché Andrea voleva seriamente avere un amico, per quanto un prete può essere amico di un uomo. E Michele, durante quegli anni, era divenuto uno di quelli più vicini a lui. Perché lasciarsi influenzare da quei pettegolezzi? Da quelle maldicenze. No, probabilmente erano i libri che leggeva, la gente che aveva frequentato in giro per l’Europa, ad aver fatto diventare quel pretaccio ubriacone così malizioso, considerò sconfortato. Si toccò i capelli. Ripensò alle perle d’acqua che avevano colpito Michele. Era accanto a lui. Così vicino… troppo vicino? Qual era il limite nel quale due uomini dovevano muoversi? E come conoscere quel limite? Come accertarsi di averlo o meno superato? E poi era bello, bello quanto un uomo non di mondo quale era Andrea poteva considerare un altro uomo. Che ne sapeva lui della vera bellezza? C’erano state delle ragazze durante l’ultima parte dell’infanzia, che aveva trovato belle. I capelli lunghi raccolti, le labbra color delle pesche mature, i seni alti sotto magliette castigate. Quelle giovani donne gli avevano procurato delle emozioni. Ma non gli aveva dato alcun peso. Era più che normale. Il quattordicenne, per quanto votato alla vita ecclesiastica, aveva scoperto il sesso da sé come la maggior parte degli adolescenti, e provava attrazione per le giovani donne che vedeva in paese. Era finita la guerra da poco, e, stancamente, gli uomini tornavano a casa. Gli uomini… che buffe creature, ripensò. Esotiche per di più. L’essere nato in pieno conflitto mondiale lo aveva costretto come la maggior parte dei suoi coetanei, a ignorare l’aspetto dei maschi nella migliore età. Vecchi e ragazzini, erano gli unici che aveva avuto modo di frequentare, e ora, all’improvviso, le strade si ripopolavano di aitanti giovanotti, alcuni biondi, altri con i cappelli più scuri, i baffi, la barba. Non ci volle molto che l’adolescente Andrea scoprisse più stuzzicanti i pettorali villosi rispetto ai seni abbarbicati dietro complicati vestiari. Essere a quel punto in seminario fu una benedizione. Gli abiti talari nei quali gli uomini celavano le virilità erano quanto di meno erotizzante ci fosse al mondo, almeno secondo i gusti di Andrea. Ma troppo spesso capitava, magari durante una passeggiata a piedi, nel percorso tra la diocesi e la vecchia casa dei suoi genitori, di scorgere qualche operaio edile, o quale contadino, per non parlare poi dei tagliaboschi… erano sempre quelli che esponevamo maggiori centimetri di pelle. A quel ricordo un brivido gli trapassò la schiena. C’era già stato un giovane boscaiolo. Il ragazzotto, poco più grande di lui ma già sposato, veniva spesso a consegnare fascine e dispensare sorrisi, in particolare a lui. Andrea era un bel ragazzo, giovane e pieno di fascino involontario, ed era normale che qualcuno puntasse lo sguardo su di lui. Capitava di continuo. E quel giovane sembrava proprio interessato a “approfondire” la conoscenza. Una volta avevano pure fumato insieme. Per Andrea fu la prima e l’ultima volta. Poi successe qualcosa. Una gravidanza interrotta, un’amante che aveva fatto delle dichiarazioni a sua moglie, insomma il ragazzo era stato sostituito da un altro, brutto logicamente. E l’anima di Andrea era rimasta pura. Basta! Si disse, basta con i ricordi, con i ricordi di quelle sensazioni tutt’altro che spiacevoli ma, quanto mai, disdicevoli, che rivelavano quanto di vero ci fosse nelle arringhe ubriache di padre Donato. Non era più un ragazzetto di sedici anni, era un uomo, un prete per di più. Con ligi doveri morali da rispettare. E Michele era un parrocchiano come tanti, un padre di famiglia come tanti. Un boscaiolo… che contava se le sue braccia apparissero così attraenti e le spalle forti? Per non parlare poi del sorriso che si allargava sul suo volto, ogni qual volta incontrava il suo… Andrea lasciò andare la testa sul cuscino. Di nuovo l’immagine di Salvemini dopo l’allenamento a torturarlo. Nonostante la temperatura fosse vicina allo zero, si era tolto la maglietta sudata dando sfoggio di una quantità di carne attraente. Roba da far sbavare tutta la comunità femminile. E la bocca di Andrea era rimasta aperta e gli occhi altrettanto spalancati proprio come i commilitoni di Donato durante lo spogliarello nel teatro romano.


Bocche cucite non fanno danno


Michele Salvemini non apparteneva a una famiglia di tagliaboschi. Aveva addirittura origini borghesi. I suoi genitori se l’erano vista brutta dopo la guerra, probabilmente per colpa delle compagnie sbagliate di suo padre. E c’era stato pure un certo parente che aveva perso dei soldi, parecchio denaro, scommettendo ai cavalli. E così il papà di Michele, per aiutare suo cognato a fuggire dagli usurai, si era ritrovato a lasciare la Puglia per fare il macellaio in quel paese anonimo Piacentino e a tirare la caretta. I figli si erano fatti grandicelli e i vecchi erano morti. Le sorelle di Michele erano tutte emigrate in America e ogni tanto mandavano delle cartoline dalla California oppure delle buste gonfie di foto che ritraevano ossuti ragazzini, bambine coi codini e tracce del benessere che si erano assicurati. Anche se il giovane Salvemini il benessere lo aveva dovuto sempre rincorrere, per un bel periodo lui e sua moglie non avevano tribolato troppo per arrivare a fine mese. Grazie al lavoro duro e al temperamento ostinato, Michele era riuscito a mettere da parte un bel gruzzoletto. Si era costruito da solo la sua casa, ed era riuscito pure ad accaparrarsi durante un’asta, un macchinario per costruire i suoi giocattoli di legno, e tanti altri oggetti. Era l’unico che si era salvato durante la malattia di sua moglie. Aveva venduto parecchi attrezzi ma quello, per miracolo, era stato risparmiato alla razzia. Da quando erano rimasti senza mamma, i bambini dormivano nella camera con il padre, tranne Duccio, che si sentiva già un adulto. I riccioli di Gina riempivano il guanciale un tempo di sua moglie. L’altro bambino stringeva un pupazzo di pezza respirando con difficoltà, era sempre raffreddato. Michele spostò Faustino di fianco per agevolare il suo sonno. Era ancora presto ma doveva alzarsi. E poi c’erano stati quei sogni a confonderlo, a rattristarlo. Loretta, la sua adorata moglie, di nuovo con loro. E poi non più, di nuovo soli. Il profumo del pane. E lo sconosciuto che ogni tanto veniva a bussare alla sua porta… Si alzò per davvero. Accese il fuoco e preparò la colazione. Quando fu sicuro che non nevicasse troppo, uscì a lavorare. Prima di mettere un piede fuori dalla porta, una voce lo bloccò: “Vengo con te papà”.
“No, Duccio, preferisco che rimani con tuo fratello qui in casa. Non voglio che restino soli”.
“Ma se lavoriamo insieme riusciremo a fare più legna e avremmo più soldi, no?”
“Sei troppo giovane per lavorare.”
“Non è vero, nonno diceva sempre che tu a otto anni andavi in macelleria e tiravi su pesantissimi capi di bestiame” era una vecchia storia. Dei tre figli era l’unico ad aver conosciuto il vecchio Salvemini e considerava il nonno un idolo.
“Non insistere, è troppo freddo. Resterai in casa a badare ai tuoi fratelli. E mi raccomando, prepara a Fausto una bella tazza di latte con il miele, siamo intesi?” il ragazzino fece sì con la testa, deluso. Michele lavorò fino a quando la luce del giorno glielo concesse. Tornò a casa e cenò con i suoi figli. Il giorno appresso fu più o meno identico con la differenza che, verso mezzogiorno, ricevette una visita. La neve sulle piante si scioglieva a stento per merito di un fioco sole.
“Padre Donato, qual buon vento?”
“Qual buon vento? Signor Salvemini, noi l’aspettavamo per l’allenamento. Mancano pochi giorni alla partita”
“Mi dispiace padre, ma io devo lavorare se voglio mettere insieme il pranzo e la cena per i miei figli”.
“Ma lei deve nutrire anche la sua generosità. Io e padre Andrea ci teniamo tantissimo che lei tenga alto l’umore della nostra squadra, e poi dove lo troviamo un attaccante di sfondamento come lei? E i suoi geniali colpi di testa?”
Michele fece una risata che assomigliava più a una smorfia malinconica.
“A Padre Andrea non importa nulla della partita, e non ne fa mistero”.
“Perché non si sente coinvolto” a quella frase lo sguardo del tagliaboschi si fece interessato.
“Sarebbe a dire?”
“Alla fin fine, per quanto atteggi ad integerrimo uomo di chiesa, è un ragazzo padre Andrea, un ragazzo quanto lei. Avete la stessa età se non sbaglio”.
“Mi pare di sì, ma che c’entra questo?”
“Intendo dire che ha voglia di giocare!”
Uno sghignazzo canzonatorio seguì a ruota l’affermazione di padre Donato. Per quanto avesse da sempre amato il gentil sesso, nonostante la veste che portava, Donato cominciava a intuire il perché quelli come Michele piacessero a “quelli” come Padre Andrea e sorrise tra sé malizioso.
“Niente affatto, Padre. Andrea non vuole giocare. A lui non interessa. Gli piace dire messa, fare veglie di preghiera e aiutare il prossimo, questo sì. Ma di battere calci d’angolo e segnare goal, no, non gliene importa un fico secco” concluse.
“Ma glielo avete mai chiesto? Avete mai provato ad andare oltre le apparenze?”.
“No, in effetti, non glielo ho mai chiesto. Non glielo ho mai chiesto perché credo di intuire già quale sarà la risposta”.
“Ma se glielo chiedete voi, la risposta può essere imprevedibile” Donato si abbassò per controllare se quello che avesse pestato fosse una castagna. Accertato che si trattava solo di un sasso, lo raccolse sorridendo. “La ringrazia per i fantocci del presepe. È rimasto talmente impressionato.”
“Ma è solo dovere.”
“No, nient’altro. Non ci dovete niente Signor Salvemini.”
“Padre Andrea è sempre così generoso con la mia famiglia.”
Il sacerdote terminò quel dialogo con una frase maliziosa: “E lo sarebbe molto di più se gliene deste la possibilità, credetemi.”
Se ne andò inciampando nel fogliame.


Padre Andrea aveva da poco terminato l’ultima funzione quando si recò in refettorio. Rosa non c’era, anche Donato sembra essersi volatilizzato. Non lo aveva visto per l’intero giorno. Pregò che non si fosse andato a cacciare in qualche storia strana. Era insolitamente affamato. Mangiava poco, il suo corpo magro non aveva bisogno di troppe calorie per andare avanti. Non fece in tempo ad addentare una mela che fu interrotto.
“Signor… Michele! Che ci fai qui?”
“Mi dispiace essermi introdotto così. Avrei voluto esserci per la funzione ma non ho fatto in tempo”.
“Non ha importanza” Andrea era imbarazzato. Anche di più del solito. Era solo con Michele, in refettorio. E trovava quella visita così inappropriata, anche se lo rendeva entusiasta. Non è buffo come le cose che ci rendono felici possono essere le più sconvenienti? 
“Sono venuto perché ti vorrei parlare…”
Andrea restò in silenzio. Se sto zitto non combinerò nessun guaio irrimediabile. Considerò. Pregò che Donato o Rosa giungessero all’improvviso. Il corpo dell’uomo era così vicino al suo che poteva sentire l’odore dei suoi capelli…


Diavoli angelici


“Stavo pensando. Sì, stavo pensando che sarebbe magnifico se voi faceste parte della squadra”.
“La squadra? Intendete dire, giocare?” Andrea si allontanò da lui quel tanto da non sentirsi vulnerabile ai bassi istinti. “È quanto mai impensabile, sono un sacerdote, ho dei doveri per la comunità e…”.
“Ma non è anche suo dovere dare una mano? Intendo per la raccolta fondi. Sarebbe davvero una bella cosa. Sono certo che voi ci sapete fare” ridacchiò. Padre Andrea adorava sentirlo ridere e quasi fu tramortito dalla felicità che gli infuriava in petto. Era vero, quando era con lui Michele sembra quello di sempre, quello prima della disgrazia. Il suo Michele. Non suo come loro era stato per Lorella, ma in un certo senso, suo.
“Non so cosa dovrei rispondere…”
“Solo di sì. Voglio giocare accanto a te. Ti darò una mano con le regole.”
“Le conosco le regole, magari sono un po’ fuori allenamento, sai, il fiato” il boscaiolo tornò vicino a lui. Andrea ebbe il timore che stesse per abbracciarlo o qualcosa del genere. Si limitò a una non troppo innocente carezza sul braccio.
“Mi fai così… così felice Andrea caro”
“Sei tu che mi fai felice” rispose in un sussurro. Le parole erano scappate. Michele lo guardò fisso negli occhi un poco sorpreso. Esisteva qualcosa di bello come i suoi occhi? Pensò. E diede un volto e un nome a colui che veniva ogni notte a turbare i suoi sogni.
“Allora, ci si vede per l’allenamento. Alle tre in punto, siamo intesi?”
“Va bene” l’umore dell’uomo era mutato di colpo, anche Padre Andrea se ne avvide. E gli dispiaceva. Ora non gli restava che contare i minuti che lo dividevano dall’allenamento.


Era stata una scelta imprudente quella di accettare. Andrea se l’era ripetuto fino allo sfinimento, ma non c’era stato niente da fare. Mancavano una decina di minuti alle tre quando, infagottato con tanto di passamontagna, era salito sulla bicicletta. Per fortuna le strade erano state pulite ma aveva in ogni caso rischiato più volte di finire dentro qualche pozzanghera. Arrivò al campo in orario. Alcuni uomini stavano tirando già due calci. Impacciato, camminò fino a giungere davanti allo spogliatoio. “Ci siamo” sussurrò. Era la parte più spinosa. Doveva spogliarsi e pregò Dio che nessuno lo sorprendesse durante la vestizione. Prese in mano la vecchia tuta che non usava da tempo, continuava a stargli troppo larga. Quando Michele Salvemini arrivò, fortunatamente per lui non stava esponendo un solo centimetro di pelle! Alcuni ragazzi sotto i vent’anni invece, davano sfoggio dei loro fisici scultorei giocando a schizzarsi l’acqua, incuranti del freddo.
“Sei pronto?”
“Se non morirò di freddo, penso di sì” Michele lo prese sottobraccio e lo condusse dentro il rettangolo di gioco. L’arrivo del parroco provocò chiacchiere e una vena di ilarità. Fregandosene dei presenti, Michele e Andrea fecero il giro del campo quindici volte. Finalmente non avevano più freddo.
Alla fine dell’allenamento Michele, che oltre ad essere il capitano della squadra ne era pure l’allenatore, fece sapere che non c’era acqua calda.
“Mi dispiace” sussurrò all’amico prete.
“Per me? No, io tanto mi laverò in parrocchia” per non rischiare di trovarsi a tu per tu con il corpo nudo del suo capitano, si voltò diretto alla bicicletta. Mentre tornava a casa ebbe un sussulto. Poverino si sbatte per la sua famiglia, per questa sciocca partita e si fa pure la doccia fredda. Avrei potuto proporgli di venire a darsi una lavata da noi. A quel pensiero gli venne da ridere. Era una fortuna che quell’assurda proposta non fosse uscita dalla sua bocca.
Ci mancherebbe pure questo. Ma per il resto del giorno non riuscì a evitare fantasie in proposito.
Il corpo sgocciolante di Michele fuori della doccia. Io che gli porgo l’asciugamano, lui mi ringrazia e… si odiò ferocemente per quei pensieri. Prese in mano il nuovo testamento, lo appoggiò sopra alle sue disgrazie. La fisionomia del suo corpo gli ricordava prepotentemente che era un uomo. Un giovane uomo con pregi e difetti. E pieno di bassezze. Se simili scellerate immoralità fossero state provocate da una bella donna, sarebbe stato diverso? Si sarebbe sentito meglio? Padre Donato non si preoccupava dell’attrazione che gli procuravano le donne, anzi. Ne faceva motivo di vanto. Ma Andrea sapeva, o quanto meno sperava, che non fosse quello il vero problema.
Il problema non era verso chi provasse attrazione, ma l’attrazione di per sé.
Ma come ho potuto essere così presuntuoso da sperare che non sarebbe mai successo? Che non avrei mai dovuto scontrarmi con le lusinghe del demonio? Il bel signor Salvemini sembrava tutto tranne un demonio però, sembrava un angelo, un angelo che volava sempre più vicino a lui.



5 commenti:

  1. Mamma mia che capitoli. Ormai il desiderio sembra aver preso il sopravvento nell'animo di Padre Andrea tanto da rendergli difficile perfino restare vicino a Michele senza avere pensieri peccaminosi. Non credo riuscirà a resistere a lungo soprattutto considerati gli sguardi e le provocazioni del giovane parrocchiano che non è insensibile al fascino del bel parroco. Mi piace tanto. Se penso che quando l'ho letta la prima volta in versione Spangel non l'ho apprezzata. Attendo il seguito

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    1. Tu non l'hai apprezzata ma devo dire sei stata la sola, insieme a me che nutrivo (e nutro tutt'ora) dei dubbi...

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  2. Beh, un filino luciferino Michele lo è dai: poi Lucifero, se non ricordo male, era l'angelo più bello no? Come poteva Diego rimanere indifferente. Questa storia però mi spaventa un po', perchè non è semplicemente scoprirsi attratto da un uomo che nonostante i tempi ci poteva stare. Ma qui si tratta di un prete, entriamo in un territorio troppo spinoso, tra religione e superstizioni. Non invidio la scrittrice per i meandri che sta per esplorare. Anzi sì che la invidio, ci vuole una bella grinta.

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    1. Sono onorata di esplorarli, dopo tutto se non fossero spinosi questi meandri, che gusto ci sarebbe? Se non brucia...

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    2. Hai ragione, naturalmente, e sai già che sono ansiosa di seguirti in questo viaggio. Non farti troppo male però!

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