mercoledì 13 marzo 2013

Tra rabbia e passione, seconda puntata





Titolo: Tra rabbia e passione (cronaca di una torbida relazione fra trulli ed onore)
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Storico/Commedia/Erotico/Romantico/Introspettivo
Storyline: Fine anni settanta
Rating: PG, slash,  NC 13
Disclaimer: si intenda tutto frutto della fantasia e del talento delle autrici. In verità i personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e basta




Capitolo 2



Quando la sveglia suonò gli parve di non aver dormito affatto. Seduto sul letto guardò fuori: era ancora buio; chissà cosa avrebbe dato per tornare a letto! Ma si disse che conveniva sbrigarsi, se voleva riuscire a farsi almeno un caffè.
Messa la caffettiera sul fuoco, Michele schizzò in bagno; una rinfrescata e via, tanto chi mi sente se puzzo là dentro alla fabbrica? I mangimi sì che puzzano. Tornando in cucina lo accolse il profumo del caffè: se ne vuotò una tazza e ci mangiò su qualche biscotto Orosaiwa. Sua madre li faceva i biscotti, anche le torte. Si riscosse, poi si sparò un’altra tazza e, infine, infilò la scala di corsa, saltò sulla bicicletta e via di corsa al lavoro.
Come dio vuole arrivarono anche quel martedì le due del pomeriggio; come la sirena suonò Michele scattò dalla sua postazione e salutando allegramente i colleghi riprese la sua bicicletta. Considerò che una volta a casa, una sacrosanta lavata da capo a piedi doveva darsela per forza!
Il padre naturalmente era sempre seduto vicino al tavolo, la tv accesa, il bottiglione a metà.
Maledizione, ci mancavano anche le tv commerciali ora. “Pà, mi dici che cazzo c’è di interessante sulla tv Svizzera? Esci un po’, fa una passeggiata, vai al mare, ripigliati papà”.
Il padre lo guardò, scrolla la testa e allargando le braccia si rimise a contemplare la televisione.
La televisione è l’oppio dei popoli pensò Michele stravolgendo Marx, e chiedendogli mentalmente scusa.
Un bel bagno rilassante ci voleva, ma quando Michele si risvegliò nell’acqua quasi gelata, si rese conto che era passata oltre un’ora da quando si era immerso. Saltò fuori dalla vasca e si avvolse nel telo rabbrividendo. Avrebbe dovuto comprarsi un accappatoio, pensò guardandosi le mani raggrinzite. E non solo le mani erano raggrinzite. Gettò un occhio alla parti basse domandandosi che ne era stato di quel bel sigillo virile che tanto lo inorgogliva. Sorridendo a sé malizioso, si sbrigò a tornare nella propria stanza.
Si rivestì velocemente: jeans a zampa e maglioncino aderente rosso. Il rosso era il suo colore preferito e non solo per motivi politici.
Abbandonato il padre ai suoi viaggi nell’etere, prese la sua Renault 4. Rossa anche questa.
Si diresse verso la campagna, dove il contadino spacciava primizie. Comprò ortaggi, frutta, formaggi e olio. La zona pullulava già di supermercati, ma lui preferiva comprare sul posto, sono così e basta. Per tutto il resto si affidò al negozio all’angolo della sua via dove lui e i suoi facevano spesa da sempre; portò a casa la spesa e poi tornò in macchina, recandosi infine alla radio.
“Oooh! Chi viene a darmi una mano?” Michele lo urlò aprendo il baule della sua Renault e restò in attesa dei compagni, che arrivarono in un attimo.
“Michele! Quanta roba!” caricandosi le borse entrarono nel capannone che fungeva da radio, che era anche centro sociale e ritrovo per chi aveva voglia di un po’ di compagnia.
“Per forza, se nessuno di voi barboni si trova un lavoro, come campiamo qui?”.
“Veramente la metà di noi lavora, la metà più vecchia, come me e te Michè!” Pazienza gli diede una gomitata allo sterno, attutita dal montgomery di Michele.
Rimase lì per tutto il resto della giornata, rifinendo gli ultimi particolari della manifestazione di giovedì. Malgrado stesse bene tra i compagni della radio, si sentì in colpa per il padre, abbandonato a sé stesso, ma poi pensò che tanto non c’era più speranza, anche quando si sedeva a tavola con lui non riuscivano a scambiare più di due parole.
Il giovedì mattina finalmente arrivò portandosi dietro le scaglie di una tipica giornata marzolina: iniziata con il sole, ora qualche nuvolone nero correva velocemente a coprirlo. I manifestanti non si fecero certo intimidire da due gocce d’acqua, e rapidamente si raggrupparono sotto ai cancelli della Eganap. Distesi gli striscioni cominciarono a lanciare slogan, mentre alcuni di loro provvidero a volantinare tra la gente che percorre il marciapiede lì davanti. Michele, che quel giorno gli aspettava il pomeridiano, andava avanti e indietro tra i partecipanti: un bel numero tra studenti e operai, e lui come sempre faceva parte del servizio d’ordine. Tentò una conta ma ci rinunciò quasi subito, erano troppi. Felice per la bella riuscita tornò verso i cancelli quando, all’improvviso, vide alcune facce conosciute tra la folla. Lo sapeva che sarebbero arrivati: i soliti infiltrati, quelli che venivano apposta per creare disturbo e far passare loro da facinorosi. Chiamò gli altri del servizio, ma si rese conto che ormai era già troppo tardi, si erano già accesi gli animi e alcuni si stavano pure picchiando. Con gli altri tentò di gestire la situazione, ma le forze dell’ordine non chiedevano che un appiglio per intervenire.
I manifestanti furono immediatamente presi dai carabinieri e portati verso il muro di cinta.
Michele fu spinto verso la sua macchina: “Dacci le chiavi Salvemini dai, dobbiamo perquisirla” lo conosceva, era il rozzo dalla parlata calabrese. 
Michele si ribellò: “Ma lo sapete che non ci trovate mai niente cazzo” scrollando i ricci fece per mettere la mano in tasca. Il carabiniere calabrese dietro di lui fece per bloccarlo ma qualcosa bloccò lui. “Tropea, vieni qui che stiamo perdendo il controllo della situazione, porca...” la voce di Camporeale scosse il carabiniere, il quale scattò per andare aiutare il collega, lasciando Michele nelle mani dell’altro.
“Fermo, le prendo io le chiavi, tu appoggia le mani alla macchina. Fa come ti ho detto”. Appoggiandosi all’auto, Michele si voltò per guardare chi aveva parlato. Aveva riconosciuto un accento diverso dal solito, sicuramente settentrionale. Quando lo vide in viso lo riconobbe subito... era il biondino che si trovava con il maresciallo Camporeale e Ferrero nella Giulia qualche notte prima. Il ragazzino che stava seduto dietro. Una faccia completamente nuova a Bisceglie.
“Tò, lo scolaretto” lo apostrofò Michele: cazzo non riesco mai a tacere, nemmeno durante le perquisizioni! Che poi che sono queste perquisizioni? I carabinieri non dovrebbero nemmeno farle...
Mentre i colleghi del giovanotto rovistavano sommariamente all’interno dell’auto di Michele senza trovare nulla di strano, Tropea, tornato da poco più incazzato di prima, restituì le chiavi gettandole malamente sul cofano, senza preoccuparsi di abbozzarlo.
“Tenga le mani appoggiate e allarghi le gambe, svelto!” il giovane carabiniere prese un piglio deciso.
Michele obbedì sogghignando: “Accidenti che proposta!”.
“Zitto!” Malgrado urlasse e si sforzasse di dare sfoggio di un carattere autoritario, il ragazzo era chiaramente agitato mentre metteva le mani sotto alla giacca che Michele teneva slacciata e goffamente le infilò sotto al maglioncino. Michele rabbrividì: le dita del giovane erano gelide!
“Non ti starai prendendo troppe confidenze ragazzino? Non ci siamo nemmeno presentati” provò a smorzare la tensione ormai alle stelle. Ma l’altro non rispose, travolto com’era dal turbinio di sensazioni che si era abbattuto su di lui: la pelle del manifestante così calda e compatta, i capezzoli gonfi. Muscoli e peluria in un perfette connubio si tendevano sotto le piccole mani. Imbarazzato tentò di toglierle subito, ma si impacciò impigliandosi un’unghia nel maglione.
Michele cominciò a ridere e si voltò verso di lui: “Questa è la prima volta che mi capita. Hey Carabiniere, ma cosa vuoi da me?”
Sempre più impacciato ma rabbioso per come Michele si stava premendo gioco di lui, il giovane gli puntò il manganello tra le scapole, intimandogli di stare fermo, quindi tornò a fare il suo lavoro: essendo di bassa statura, per perquisirlo dalla cintola in giù non gli servì abbassarsi troppo: si piegò giusto un poco percorrendo con i palmi le lunghe gambe dai polpacci fino ai fianchi. Insicure, le mani si spostarono a palpare con decisione anche tra le gambe, indugiando effettivamente un po’ troppo sul pene semieretto che, a quel tocco, trovò subito il vigore delle migliori occasioni.
Ridendo sempre di più Michele lo apostrofò: “Ti giuro che non è un arma. Non ci ho mai menato nessuno. Posso girarmi adesso?”.
Un carabiniere anziano si avvicinò: “Problemi Perrone?” poi si rivolse all’operaio: “Salvemini, vuole farsi un giro in caserma?”.
“No capitano, nessun problema. Qui è tutto a posto. Può girarsi Salvemini”. A quelle parole Michele si voltò per guardare finalmente in viso il giovane carabiniere.
Lesse confusione nel bel volto quasi adolescenziale, se non fosse per i baffi che però anch’essi lo facevano sembrare un ragazzo che cercava di darsi arie da grande. E quasi gli dispiacque di averlo provocato; lo sguardo stranito nei grandi occhi nocciola, l’espressione ansiosa, la bocca socchiusa.
“Ti stanno bene quei baffetti” Michele indicò il labbro superiore arrivando quasi a sfiorarli. Ma si trattenne. Era ancora eccitatissimo e a questa cosa non era di sicuro preparato. Gli avrebbe dato un nome e ci avrebbe pensato poi. Erano nel pieno di una manifestazione, non aveva certo tempo di cazzeggiare con i capricci del suo uccello!
“Perrone, possiamo andare?” i colleghi arrivano vicino a lui che finalmente si riscosse e, annuendo si allontanò con loro. Prima di salire in macchina si girò un’ultima volta verso Michele e gli lanciò una lunghissima occhiata. Anche Michele non riusciva a smettere di guardarlo. Pazienza lo raggiunse: “Che guardi Ortica, sembri in trance, tutto ok?”
Michele pensò ad alta voce: “Sembra un ragazzino, invece è un carabiniere. Bello anche, due occhi notevoli. E a me cosa può interessare degli occhi di un carabiniere maldestro che mi tocca il cazzo e lo scambia per un’arma?”.
“Michè ma che dici, stai bene? Non è che ti hanno dato una manganellata in testa?”
“No, è tutto apposto, la mia testa ce l’ha dentro qualcosa che non va” rispose provando a ghignare come sempre. Ma qualcosa si era rotto, indubbiamente. Li affiancò anche Dante, un altro compagno della radio: “Oh, Dante, senti questa!” Pazienza, ridendo, iniziò a sciorinare la storia del carabiniere ‘bello’ che aveva toccato il cazzo a Michele. Tutti iniziarono a ridere mentre la manifestazione riprese, questa volta fortunatamente senza le frange estremiste. 

1 commento:

  1. Però. Hai capito il novellino. Lo ha perquisito davvero per bene il nostro Michele. Noto anche che nessuno dei due è rimasto indifferente. Cavolo che scena calda. Ho pensato che ci scappava qualcosina di più. Bellaaaaaaaaaa. Cavolo se mi ha preso questa fic. Cmq mi piace tanto Michele impegnato, ma anche Diego ligio al dovere, tutto precisino. Che sexy e poi i baffetti...

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