venerdì 26 ottobre 2012

RICOMINCIARE AD AMARE




Titolo: Ricominciare ad amare
Genere: AU
Autore: Annina
Parring: Diego/Caparezza
NC 17 per scene di sesso e violenza
Disclaimer: è tutto frutto di fantasia, come sempre e niente è fatto a scopo di lucro



Diego aveva davvero fatto breccia nel cuore di tante ragazze. Ma lui nel cuore aveva solo Michele.


Quella mattina la luce che filtrava dalle imposte era grigia. L’autunno era arrivato, con i suoi meravigliosi colori, ma anche con il freddo che nella piccola cittadina del nord cominciava a farsi sentire.
Diego aprì i battenti: eccola, anche la nebbia era puntuale. Saliva con lente volute a coprire le case e la piazza.  Dalla sua mansarda, il campanile del duomo che stava battendo le otto era invisibile.
Mentre beveva la sua tazza di caffè, si affacciò al piccolo balcone e attese, come tutte le mattine, che il ragazzo che abitava due piani sotto uscisse. Era diventata un’abitudine alla quale non poteva più rinunciare.
Qualche volta fingeva di uscire nello stesso momento, solo per incontrarlo e salutarlo, magari sfiorarlo scendendo le scale a precipizio, come suo solito.
Si era innamorato di lui senza nemmeno sapere chi fosse. Sapeva solo che era bello, bellissimo, col pizzetto e con quella testa di capelli lunghi e ricci, neri come la pece. Anche gli occhi erano neri, Diego ci si perdeva ogni volta che lo incrociava. Neri e profondi come il cielo di mezzanotte. Era romantico, Diego, a volte anche troppo, ma era fatto così, non poteva farci niente.
Quante volte aveva sognato a occhi aperti che lui lo fermasse sulle scale, e gli proponesse un giro sulla sua moto. Nera anche quella naturalmente, che moto poteva avere se non una Diavel uno come lui, che in effetti aveva un che di luciferino, nello sguardo e nelle movenze.
Sognava, Diego: sognava di salire dietro di lui, di aggrapparsi, stringerlo forte. Sarebbero andati al mare, a passeggiare abbracciati sulla spiaggia, un bacio nel sole del tramonto… 
“Dormire, morire, forse sognare…  cosa c’entra ora l’Amleto” pensò Diego cercando con gli occhi il suo  vicino, che quel giorno era in ritardo.
Ormai congelato Diego rientrò in casa, si infilò felpa e giubbino e decise di uscire e di aspettare sotto casa, a costo di arrivare tardi al lavoro.  Scese le scale, e mentre stava per passare davanti alla porta, questa si aprì e Michele, così si chiamava, uscì.
Diego si fermò incantato, la bocca asciutta: era bellissimo, fasciato in una tuta di pelle nera e stivali da motociclista. Sussurrò un “ciao” soffocato. Michele si girò sovrastandolo dall’alto del suo metro e novanta, lo guardò intensamente facendogli un cenno di saluto, e senza dire niente se ne andò.
Diego si appoggiò al muro cercando di riprendersi. “Come mi ha guardato” pensò “di solito non mi degna del suo saluto, oggi mi ha proprio guardato, ha guardato me”.
Poi si accorse che erano già passate le nove, e si ricordò che quella mattina toccava a lui aprire la libreria che aveva in società con due amiche. Corse via: per fortuna il negozio era a pochi metri da casa sua.
Non arrivò in tempo, comunque, le sue colleghe lo avevano preceduto.
“Cucciolo, cosa ti è successo? Il bel vicino ti ha invitato a colazione?” lo presero in giro. Poi Caterina lo guardò meglio “Diego, che faccia hai…”.
Diego non rispose nemmeno, gli occhi sognanti, ancora aggrappato al ricordo di quanto era successo poco prima.
“Bene Cucciolo, adesso ordiniamo la solita colazione, poiché sono già le nove e mezzo, poi ci racconti cos’è che ti fa brillare così gli occhioni, stamattina;  solita brioche alla crema?” chiese Agnese.
“Anche una cioccolata calda per me” disse Diego “con la panna e la cannella e il cioccolato in polvere sopra…”
“Dovrai rivelare il tuo segreto un giorno: come diavolo fai a mangiare tanto e a rimanere così magro?” chiese Caterina, una ragazza molto carina, anche se un tantino cicciottella; Diego sorrise “è un dono di natura” disse. Di altezza media, Diego aveva un fisico minuto, ma tornito.
“Sai che siamo tutte innamorate di te Diegone, se poi ci sorridi così…” fece Agnese guardandolo. Sempre allegro e disponibile con tutti, forse non si poteva definire bello secondo i canoni, ma con i grandi occhi nocciola, il suo sorriso tenero e il ciuffo ribelle, Diego aveva davvero fatto breccia nel cuore di tante ragazze. Ma lui nel cuore aveva solo Michele.
“Allora, addirittura cioccolata per tre! Cosa festeggiamo?” chiese entrando Anita, la ragazza del bar.
“Non lo sappiamo ancora, Diego non si sbottona! Ma guardalo negli occhi e dimmi cosa ci vedi” fece Caterina.
Anita si sedette con loro nel piccolo salottino d’angolo, dove i clienti potevano sfogliare i libri tranquillamente  prima di acquistarli, assaggiando la torta fatta in casa e bevendo tè.
“Forza che ho poco tempo: sei riuscito a farti invitare a cena da Michele!” disse Anita.
“Magari. Stamattina l’ho incontrato sulle scale, mi ha guardato in un modo così … non so, non mi aveva mai guardato prima così, anzi di solito quasi non mi guarda. Ragazze, a 25 anni mi sento come un adolescente alla prima cotta!”
“Dai Diego, invitalo tu a cena a casa tua no? Bisogna pure che qualcuno prenda l’iniziativa” fece Caterina.
“No, non ci riesco, mi intimidisce, ma l’avete visto no? Così serio, sulle sue, come faccio?”
“A dirti la verità, a me fa anche un po’ paura, sempre così accigliato, e sempre vestito di nero poi” disse Agnese.
“Dai, Agnese, addirittura paura! Anch’io vesto spesso di nero” Diego guardò l’amica risentito.
“Ma tu sei il nostro cucciolone, non si può aver paura di uno come te, si può solo riempirti di coccole!” le ragazze ridendo baciarono Diego, quindi finite le cioccolate, tornarono tutti al lavoro.
*****
La moto filava veloce, sfidando la strada a curve che portava in alta collina.
Michele quel giorno non aveva aperto il suo negozio, non aveva  voglia di rinchiudersi  fino a sera fra quattro mura. Doveva stare un po’ all’aria aperta, senza nessuno intorno; stava diventando insofferente, non sopportava più nessuno, a volte non sopportava più di vivere.
Parcheggiò la moto e si incamminò sulla stradina che portava alla diga. L’aria era fredda ma pulita, lassù la nebbia non arrivava mai. Si sedette sul parapetto e guardò l’acqua verdissima giù in fondo. Doveva essere ghiacciata. Chissà come sarebbe stato tuffarsi nel laghetto artificiale.
“Piantala Michele di fare il patetico, tanto non hai nemmeno il coraggio di buttarti di sotto” pensò.
Guardò un falco che disegnava ampi cerchi nel cielo. Suo malgrado rabbrividì. Da qualche parte c’era una vittima, che sarebbe finita nei suoi artigli.
Il passato tornava prepotente nei suoi pensieri, quei fantasmi di cui non riusciva a liberarsi condizionavano ancora la sua vita. Erano passati otto anni da allora, Michele ne aveva trenta adesso, eppure il ricordo di quello che era successo era sempre presente.
Ripensò al suo paese del sud, al mare, al sole. Era stato felice laggiù, fino all’adolescenza. Poi  l’intuizione di sentirsi diverso dagli altri, di essere diverso. Si accorgeva che i suoi amici si stavano allontanando da lui, qualcuno cominciava già a prenderlo in giro.
Si sfogava con Melinda, la sua cara amica, che gli rispondeva “Michele, certo che sei diverso, sei sempre stato diverso dagli altri, perché sei buono, sei una persona speciale, hai un cuore grande così. Ognuno nasce come nasce, le tue scelte sessuali non possono essere messe in discussione da nessuno. Non farti mettere sotto, non lasciarti condizionare”.
Michele rideva “Già, come la canzone di Caparezza! Sono disposto a stare sotto…”
“Solamente quando fotto!” rispondeva Melinda, fan come lui del famoso cantautore.
Sembrava facile. Non lo era.
Una sera Michele fu invitato a uscire da un ragazzo, un ragazzino biondo; dopo un gelato, gli propose un giro sulla spiaggia. Michele era contento, non era solo allora, c’era una speranza anche per lui.
Quel ragazzo lo portò dritto alla fine della sua vita. Sulla spiaggia lo stavano aspettando: in cinque lo circondarono, iniziarono a sfotterlo, gli giravano intorno come una giostra crudele. Lo assalirono, lo picchiarono a sangue, mentre il ragazzino che l’aveva attirato nell’agguato rideva e gli urlava “Volevi scoparmi brutto frocio! Fai schifo, te ne devi andare da qui!”.
Lo abbandonarono svenuto sulla spiaggia, sotto una barca. Lo trovarono il mattino dopo due pescatori, che diedero l’allarme. Michele rimase ricoverato due mesi, con varie fratture e un trauma cranico, ma le ferite più profonde le avevano inferte alla sua anima. Anche i suoi genitori, quando lui si aprì con loro, svelando i motivi per cui era stato picchiato, non accettarono la situazione, e anche se la mamma continuò ad andare da lui, perché comunque era suo figlio, il padre non si fece più vedere.
Solo Melinda gli stette vicino con tutto il bene che gli voleva, ma una volta dimesso, Michele fece le valige, e se ne andò abbandonando anche lei. Non poteva rimanere in quel paese, doveva cercare un posto dove poter stare da solo, dove cercare di recuperare una vita. Melinda voleva partire con lui, ma Michele glielo impedì. “Ti voglio bene Melinda, ma mi ricorderesti sempre quello che è accaduto; ci sentiremo, ci vedremo, abbiamo sempre l’amicizia su facebook no?” tentò di scherzare, ma Melinda aveva capito che il suo amico non sarebbe mai più stato lo stesso. Con la morte nel cuore, lo accompagnò alla stazione, e piangendo lo salutò.
*****
Michele si riscosse. Si era alzata un’aria gelata, e sentiva anche un po’ di fame. Senza che lui se ne rendesse conto, erano già le due.
Si avvio verso l’unica trattoria del piccolo paese tra le colline e ordinò un paio di panini. Era stanco di mangiare da solo, di vivere da solo, avrebbe avuto bisogno di qualcuno con cui condividere almeno un po’ di tempo, se non la vita.
Mentre mangiava, gli tornò alla mente il ragazzo dell’abbaino. Era un bel ragazzo, sembrava molto gentile, e aveva notato che era interessato a lui. Beh, come non notarlo, quando lo vedeva arrossiva, impallidiva, e non riusciva ad articolare altro che un timido “ciao”. Vero anche che lui non aveva certo fatto niente per incoraggiarlo. Gli sarebbe piaciuto riuscire a scambiare qualche parola, ma non era mai riuscito ad abbassare la guardia, il dolore dentro di lui era sempre forte, la paura di essere ancora ferito, aggredito non lo abbandonava.
Uscì, fece ancora una passeggiata, quindi raggiunse la moto e riprese la strada del ritorno.
A casa, mentre cercava le chiavi, il portoncino si aprì con violenza e Diego uscì di corsa; non poté evitare di sbattergli contro, e rimase lì imbambolato a fissarlo. “Beh” fece Michele “non riesci proprio a camminare tranquillo tu?”.
Diego smise di respirare, tentò di rispondere, ma riuscì solo a tossire. Michele fece un ghigno.
Riprendendo fiato, Diego spiegò “sto correndo dal droghiere, ho finito il curry e…”. Michele lo guardò e disse “immagino sia una questione di vita o di morte no?”.
“Sto facendo il pollo… vuoi… vorresti… cioè, se ti va no?”
Michele lo guardò interrogativo.
“Se vuoi venire su da me a cena, preparo anche per te” poi rimase lì, spaventato dalla sua improvvisa intraprendenza.
Michele  era combattuto, voleva andare e allo stesso tempo non voleva aver niente a che fare con quel ragazzo. “Si, va bene, alle otto salgo” si sentì rispondere suo malgrado.
Diego corse come se avesse le ali ai piedi, tornò e si mise ai fornelli, mentre telefonava a Caterina, e gli spiegava cos’era appena successo. Caterina era al settimo cielo “Diegone, sono così felice per te, avverto io le altre. Chiamami appena puoi, fammi sapere cucciolo”.
Fece una doccia e si cambiò, appena in tempo: Michele era alla porta.
Diego lo accompagnò nella vasta sala, dove c’era anche la cucina. Aveva apparecchiato meglio che poteva e aveva anche acceso le candele. Le accendeva sempre anche quando era da solo. Aveva fatto male? Chissà cosa avrebbe pensato Michele, che le aveva messe apposta, che voleva fare una cena romantica… signore, come è difficile!
Michele si sedette a tavola senza dire una parola. Aveva portato una bottiglia di vino che Diego aprì. Era vino fermo, forte, quasi denso.
La cena andò bene, la pasta alle verdure era squisita e il pollo al curry perfetto. Diego era bravo in cucina.
Complice il mezzo bicchiere di vino rosso al quale non era abituato, Diego parlava a ruota libera, non sentiva più la timidezza, era così felice di avere lì Michele, non gli sembrava ancora vero.
Michele invece era taciturno. A un certo punto Diego disse “Mi spiace, non ho niente di dolce, non sapevo che saresti venuto e quindi…” si interruppe perché squillò il telefono. Era Agnese, voleva sapere come andava. Diego rispose sottovoce “non ora, non posso ancora dirti niente”.
Michele lo sentì; forse a causa della stanchezza, il vino gli aveva dato particolarmente alla testa, e piano piano uscirono i suoi vecchi demoni.
“Ma cosa ci faccio qui, cosa vuole da me questo, sta succedendo ancora, sta succedendo ancora, me ne devo andare” si alzò e andò verso la porta. Diego lo guardò stupito, si avvicinò, gli toccò una spalla chiamandolo “Michele, ma stai già andando via?”.
Quel tocco scatenò l’ira di Michele. Si voltò verso Diego e sibilò “cosa vuoi ragazzino? Cosa vuoi da me? Vuoi farti una scopata? Va bene, posso accontentarti…” lo spinse contro il muro e lo baciò rudemente, con violenza.
Diego rimase allibito. Voleva sciogliersi da quell’abbraccio, non voleva, non così.  Michele non lo abbandonava, gli tolse la maglia strappandola, continuando a baciarlo, a morderlo. Diego sentì il sapore del sangue, non era quello che aveva sognato. Perché Michele, perché?
Michele lo prese e senza fatica lo gettò  sul divano, standogli addosso, sentì l'eccitazione sopraffarlo. Voleva prenderlo, voleva fargli male, voleva sentirlo urlare…
Diego non aveva la forza di sottrarsi, nemmeno di gridare. All’improvviso gli occhi di Michele incrociarono i suoi: dilatati, pieni di sofferenza, di lacrime. Si fermò continuando a guardarlo, ma cosa stava facendo? Lentamente lo lasciò andare, si alzò dal divano, e se ne andò senza dire più una parola.
Diego si rannicchiò sul divano e pianse a lungo, finché sopraffatto dalla stanchezza si addormentò.
La mattina seguente la doccia non riuscì a lavare via la sua pena. Non si affacciò al terrazzino e uscì piano per andare alla libreria.
Le amiche erano già lì, ma bastò loro guardare lo sguardo smarrito e pesto di Diego per azzittirsi. Non fecero domande, ma gli restarono vicino con affetto, dicendogli: “quando vuoi parlarne, noi siamo qui per te”. Pallido e tirato, Diego le baciò, e facendo un sorriso mesto si mise a vuotare gli scatoloni dei nuovi arrivi. Rispettando il suo bisogno di stare solo, Agnese e Caterina si allontanarono, addolorate perché non avevano mai visto il loro Diegone così a terra.
La giornata fu lunga e difficile. La pioggia cadeva e i clienti che entravano erano tutti infreddoliti e intrattabili.
Verso le cinque, si concessero una pausa, davanti a un tè. Diego non aveva mangiato niente in tutto il giorno, e questo preoccupava le ragazze: lui mangiava sempre tanto. Cosa gli avevano fatto?
In quel momento la porta del negozio si aprì e Michele entrò, guardandoli  con aria smarrita. Non era certo la prima volta che entrava in libreria, ma era la prima volta che si sentiva guardare con odio dalle due ragazze.  Diego tenne gli occhi bassi e non fiatò.
“Posso parlarti Diego? Per favore” disse Michele.
Agnese e Caterina alzandosi risposero nello stesso momento “no, non puoi parlargli, te ne devi andare”.
Michele continuò a guardare Diego, che finalmente alzò gli occhi a guardare i suoi: vi lesse incertezza, paura, anche tenerezza. “Va bene, usciamo un attimo” rispose.
Uscirono nella galleria, e Michele dopo un inizio incerto, spiegò a Diego quello che gli era successo nel passato, quello che aveva provato la sera prima, gli chiese di scusarlo, di perdonarlo se poteva. E gli chiese se voleva provare a ricominciare tutto dall’inizio.
“Ho passato la notte e il giorno a pensare a quello che ti avevo fatto, alla tua tenerezza e alla mia rabbia, a come ti avevo aggredito, ferito, mi sono sentito un mostro. Sono stato un mostro. Diego, vuoi venire a cena da me stasera?”
Diego sorrise, uno di quei suoi sorrisi che potevano sciogliere anche il granito.  Disse di si.
Michele lo prese per mano, entrarono così in negozio, ad avvisare le ragazze che per  Diego era ora di andare. Agnese e Caterina sorrisero.
A casa di Michele non c’era una gran scorta di provviste, ma Diego riuscì a preparare una cena di tutto rispetto. Michele accese due misere candeline, e rise “accidenti, non sono certo paragonabili alle tue”.
Il biondino rise a sua volta “vorrà dire che domani andremo a fare compere”. Michele lo guardò, sentì qualcosa sciogliersi dentro di sé, attirò Diego in un abbraccio. Lui alzò gli occhi a guardarlo, e in quegli occhi Michele vide tutto l’amore del mondo.
Lo baciò con dolcezza questa volta, con tutta la tenerezza che provava per lui. Diego gli rispose con passione, aggrappandosi al suo collo, accarezzandogli i capelli.
Si avviarono verso la camera da letto, e si spogliarono piano a vicenda, guardandosi incantati, toccandosi, accarezzandosi, i sensi accesi. “Farò piano, te lo giuro” disse Michele. Diego lo attirò a sé, e Michele entrò in lui lentamente, attento a non fare del male a quel suo compagno che aveva finalmente capito di amare. Se Diego sentì male, non lo disse al suo amore, che si accorse comunque delle sue lacrime, e baciandolo gliele asciugò una ad una. Fecero l’amore a lungo mentre fuori la pioggia batteva sui vetri; la notte li ritrovò abbracciati stretti, indivisibili. Non pioveva più, la luce della luna entrava dalla finestra.
“Ti amo Michele, ti amo da morire, sono così felice…” mormorò Diego guardando il compagno.
Michele si perse negli occhi di Diego, quegli occhi che gli avevano fatto capire che ci sono anche persone stupende, che si poteva anche ricominciare a vivere, ricominciare ad amare.
“Ti amo anch’io, Diego, ti amo anch’io” sospirò Michele e riprese a baciarlo. La notte era ancora lunga, ed era tutta per loro.

5 commenti:

  1. Domani commento... stasera vado a letto, me lo sono meritato o no? :D (ho aggiustato un po' di robe, niente di che :) )

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  2. Questa originale fic racchiude due anime, due personaggi molto profondi che, attraverso l'analisi dei loro gesti, del loro vestire e del loro comportamento, vengono delineati agli occhi del lettore molto bene. Rappresentono a mio parere due mondi paralleli ma distanti. Due colori all'antitesi ma imprescindibili, come la notte dal giorno. Il bianco e il nero. Se Diego è il bianco della nebbia, del suo cuore d'angioletto, del suo essere cucciolo per le colleghe che lo stimano e lo vezzeggiano, Michele è il nero. Nero della moto, nero degli occhi, dei capelli. Ed è chiaro che il bianco, con la sua troppa luce sia inesorabimente attratto dal suo opposto, da questo nero che è anche nero per mistero, per passato oscuro, ecc. Ed è più che giusto che il bianco venga sopraffatto anche fisicamente dal nero che poi si ritira, per tornare a chiedere scusa a quel bianco, a quella luminosità che può essere la sua uscita dal tunnel. Davvero scritta bene. Una piccola critica me la concedi? Noi tutti amiamo e adoriamo Capa Michi, e lo consideriamo bellissimo, e che lo sia anche agli occhi di un Diego innamorato fino al midollo ci sta. Ma definirlo bello, bellissimo più volte, ehm... ok, non è proprio realistico,. questo è.... ihihihih. Lui è un figo ma i belli e bellissimi sono James Dean e Paul Newman e via discorrendo, capa capirà... Continua così tesoro, le tue fic aggiungono una nota acuta e dolce e anche molto femminile a questo blog...

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    1. Ma grazie! Son così contenta che ti sia piaciuta, perchè io scrivendola non sapevo più di chi innamorarmi tra i due! Su Capa mio malgrado devo darti ragione, è un gran figo e non è bellissimo, mi son fatta prendere la mano! Ma se è vero che la bellezza è negli occhi di chi guarda... per me questi due sono Dei!!! :o)

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    2. ahhhhhhhhhhhhh puoi giurarci, i dei dei dei!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Mtv day, ricordi?? eheheeheheh

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  3. Molto bella, a tratti triste. Avrei voluto coccolare entrambi, poveri cuccioli!
    Ma le coccole alla fine se le fanno fra loro nel lieto fine! Menomale! <3

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