sabato 22 settembre 2012

Diventare grandi, secondo capitolo




Pairing: Diego – Michele
Au
I personaggi mi appartengono, ho solo preso in prestito i nomi.
Rating: NC - 17


****



Una goccia di pioggia lo sveglia. È ancora seduto sotto un albero, il giacchetto a fargli da cuscino e le braccia strette in petto. Le nuvole coprono il sole e il vento freddo lo fa rabbrividire. Starnutisce. Quella pioggerellina è fastidiosa. Stropicciandosi gli occhi Diego si alza, poi si avvia verso la Vespa che ha lasciato poco distante. Guarda l’orologio e si rende conto che ha perso la campanella d’inizio. Noncurante alza le spalle.
Il traffico mattutino lo snerva, con la motoretta fa ziz zag tra le auto, prende una scorciatoia che costeggia le cimiere delle fabbriche che a causa dello sciopero sono spente e silenziose. In mezz’ora raggiunge il Cavour. Il cortile è deserto. Mordicchiandosi il labbro pensa a che fare. Ormai non può più entrare, ma neanche gli interessa. Ridacchiando alla prospettiva di avere una mattinata tutta per sé in moto e si allontana. Non ha alcuna intenzione di affrontare il compito di greco. Odia il greco, sa già che il professor Pagliai gli rifilerà il solito quattro. Detesta quell’uomo ed il sentimento è reciproco. Probabilmente non lo farà passare, ma non gli interessa. Dopo la serata che ha passato in quella comune, la scuola è l’ultimo dei suoi pensieri. Si ferma al suo bar preferito. Decide che  merita un’abbondante colazione.
Ordina un cappuccino bollente e un cornetto con cioccolato e panna che in tre bocconi finisce nel suo stomaco. Mentre mangia emette dei suoni estatici, poi si lecca le dita sporche di panna. Lui adora le cose dolci. Si potrebbe dire che sopperisce col cibo la carenza d’affetto, ma a volte dimentica anche di mangiare. Solo la colazione non dimentica di fare. È come un rito per lui. Ridacchiando ordina un bel maritozzo con la panna.
Con lo stomaco pieno e il portafoglio mezzo vuoto, esce dal bar. Ha smesso di piovere, ma il cielo è denso di nuvoloni. Sbuffando, Diego si rimette in moto, ma non ha una meta precisa. La città è a sua disposizione. Senza rendersene conto si ritrova davanti la facoltà di Architettura, il cortile affollato di ragazzi con striscioni e bandiere. Diego ricorda che Michele aveva detto che avrebbero occupato i locali dell’Università. Con lo sguardo cerca qualche faccia conosciuta, ma gli sembrano tutti estranei. Non c’è traccia dei suoi nuovi amici, ma proprio in quel momento vede Michele e qualcosa dentro di lui si agita. È accanto al portone, un piede sull’ultimo scalino. Ha l’aria seria, i capelli tirati indietro da una fascia, un paio di occhiali da sole dalla montatura vistosa cela i suoi occhi scuri.
Diego lo fissa con una strana frenesia, spera quasi che non si accorga di lui per continuare a osservarlo con tranquillità. Per un attimo gli viene in mente di raggiungerli, di unirsi a loro nella lotta, ma poi si ripensa. Sceso dalla vespa si appoggia al muretto, lo sguardo verso il leader del movimento, il quale è troppo impegnato per rendersene conto. Sta aiutando due ragazze a erigere uno striscione sopra il portone, sul quale c’è scritto ‘Facoltà occupata’.
Resta su quel muretto fino a quando non viene a piovere. Un acquazzone che costringe tutti a cercare un riparo. Anche Diego lascia il suo mezzo e corre verso un portoncino. Ormai zuppo si sgrulla l’acqua dai capelli e dal giacchetto, poi alza lo sguardo verso le nuvole minacciose e sospira tristemente. Lui adora l’estate e in quel mese di aprile sembra più che mai lontana. In quei minuti da solo la mente torna alla serata trascorsa, a Michele.
Lo trova così carismatico e affascinante da esserne attratto anche fisicamente. Una sensazione nuova che gli fa paura, ma che lo eccita terribilmente. Si chiede come sarebbe baciarlo, toccare le sue labbra, affondare il viso nella barba o in quei capelli folti, amarlo. Quei pensieri sono talmente intensi da provocargli un’erezione. I pantaloni si tendono fino a fargli male. Dolorante si porta una mano sul pacco.
Una donna che si trascina una busta della spesa e un grosso ombrello calato in testa lo raggiunge dentro il portone per ripararsi. Gli rivolge un sorriso, a Diego ricorda sua zia, la sorella della madre. Quella che abita a Roma e che tanto lo adora. Della sua famiglia è l’unica che non lo considera un fallito, un poco di buono che non combinerà niente nella vita. Lui qualcosa di buono lo fa. Scrive, ma le sue cose non le ha mai fatte leggere a nessuno. Sono troppo personali, intime perché possano essere mostrate ad altri. Nervoso e annoiato saluta con un cenno la donna e si avventura sotto l’acqua. Vuole tornare a casa, fare una doccia calda e stendersi a dormire per qualche ora.


Appena varcato l’ingresso, lo attende il silenzio e l’oscurità. Nel grosso appartamento non c’è nessuno. Sua madre è a lavoro, in ufficio. È segretaria di un notaio, mentre suo padre ipotizza sia allo studio. Fa l’avvocato. L’avvocato Perrone è conosciuto e ben voluto da tutta la gente che conta. Diego è stanco, bagnato e infreddolito. La notte trascorsa fuori lo ha provato. Senza neanche entrare in camera si fionda in bagno, spogliandosi strada facendo. Gli abiti lasciano delle chiazze bagnate sul pavimento del corridoio, ma lui non se ne cura. L’acqua calda lo rigenera, scalda le membra indolenzite. Mette anche la testa sotto il getto e chiude gli occhi. Le mani scivolano lungo il corpo minuto, lo insaponano, indugiando sul pene tra le gambe. Buttando la testa all’indietro Diego si lascia sfuggire un gemito, socchiude le labbra e continua a toccarsi fino a quando il piacere non esplode. Sentendo le ginocchia cedere, si appoggia alla parete di piastrelle. Ansimante, chiude il rubinetto ed esce, ma lo stato in cui l’orgasmo lo ha lasciato lo disorienta. Si guarda allo specchio, ha due profonde occhiaie, le pupille arrossate. Si asciuga in fretta, poi senza neanche vestirsi si dirige verso la sua camera, buttandosi a peso morto sul letto.
Lo risvegliano dei rumori e urla. Stingendosi le tempie e soprattutto le orecchie, Diego riapre gli occhi: “Ma che cazzo…” la testa gli duole e sente freddo come se avessero aperto tutte le finestre di casa. La porta della sua camera è spalancata, suo padre blocca l’ingresso, le braccia conserte e lo sguardo da pazzo.
“Alzati!” gli urla.
Diego riappoggia la faccia sul cuscino, gli sembra di essersi appena appisolato.
“Ti ho detto di alzarti! Mi hai sentito?” il genitore è furioso. Batte il palmo aperto contro il legno della porta.
“Ah, pà, ma che cazzo ti prende? Sto dormendo!”
“Che mi prende?” avanza minaccioso. Gli occhi fuori dalle orbite. Strattona con violenza la coperta.
Diego è nudo, ma all’uomo sembra non importare. “Mi prende che non voglio diventare lo zimbello di tutta la città! Sai chi mi ha chiamato poco fa?”
“Vuoi giocare agli indovinelli?” lo prende in giro il ragazzo, ma sente che questa volta fa sul serio, che deve averne combinata una grossa. Solo che non ricorda tutte le bravate che fa durante le sue scorribande. È troppo fatto per potersele rammentare.
Suo padre lo afferra per un braccio, lo tira su buttandolo quasi giù dal letto.
“Ehi, fermo!” Diego si dimena per liberarsi dalla stretta. “Stronzo, smettila!”
“Stronzo a me?” lo schiaffo Diego neanche lo vede. Lo coglie di sorpresa. È la prima volta che suo padre lo picchia.
Diego si mantiene la guancia, fissa il genitore con gli occhi sbarrati.
“Scusa” mormora l’altro rendendosi conto di avere esagerato ad alzare le mani sul figlio. Lo lascia e indietreggia di un passo. “Non chiamarmi più così. Sono tuo padre mi devi rispetto!”
Diego si alza dal letto, fissa il padre con odio. Non parla, sa che uscirebbero solo insulti e recriminazioni.
“Hai capito?” mormora, le labbra hanno un fremito.
Continuando a mantenersi la guancia, il giovane non può che annuire.
L’avvocato sembra essersi calmato, allunga le braccia ai lati del corpo: “Il preside, dice che sono tre giorni che non vai a scuola, che i tuoi voti sono pessimi. Rischi di non essere ammesso alla maturità!” c’è dolore nella sua voce. Diego immagina si vergogni di avere un figlio come lui. “Perché non parli? Mi vuoi dire cosa hai intenzione di fare? Non volevi iscriverti a lettere? Hai già cambiato idea?” le domande incalzano, ma Diego si ostina a restare in silenzio. “Sei una delusione per me e tua madre”
“Certo, una delusione. Non fate altro che dirmelo” Diego lo fronteggia, gli occhi come braci. Dentro ha un fuoco che arde. “Ma le cose sono cambiate!”
“Ah, hai finalmente deciso di metterti a studiare sul serio? Era ora!”
“Non capisci! Non hai mai capito. Te ne stai nella tua bella casa, con il tuo lavoro di merda, mentre il paese va in pezzi!
“Modera il linguaggio ragazzino prima che ti dia un altro schiaffo”
“Le stronzate che dicono alla tv servono a nascondere la verità. Il paese è allo sfascio” Diego agita le mani. “E io voglio fare qualcosa!”
“Fare qualcosa? Vuoi entrare in politica? Con il tuo caratteraccio farai di certo carriera!”
“Politica?” sgrana gli occhi “Stai scherzando vero? Voglio manifestare contro il potere che ci schiaccia, che rende invivibile questo paese!” s’infervora, gli sembra di risentire le parole di Michele.
“Ma come parli? Mio figlio è diventato anarchico!” impallidisce, poi siede sul letto prendendosi il volto tra le mani.
“Non sono anarchico!” esclama Diego con decisione.
L’uomo alza lo sguardo verso il figlio, i lineamenti sono duri “Da domani righi dritto!” si rimette in piedi. “Finisci l’anno, prendi la maturità, poi potrai fare come ti pare. Fino a quel momento…” notando che Diego sembra non ascoltarlo, gli afferra il braccio e lo attira più vicino. “Farai quello che dico io!”
“Poi sarei io l’anarchico! Tu sei un fascista!” si riveste velocemente.
Quella frase è come una pistolettata in pieno petto. Suo padre diventa rosso e stringendo il polso, mormora “Sei in punizione fino al diploma! Non farai altro che studiare, capito? Sotto il mio tetto tu devi fare quello che dico!” il tono è concitato.
Diego teme che possa venirgli un infarto: “Vorrà dire che me ne andrò. Non puoi dirmi cosa fare. Tra due mesi avrò diciotto anni!”
“Fino ai ventuno sei minorenne! Dove pensi d’andare?”
“Lontano da questa casa di merda e da te!” replica afferrando lo zaino dal pavimento. “Anche subito!”
“Sì, certo. Corri dai tuoi amici tossici e ubriaconi. Credi che non sappia che razza di balordi frequenti?” l’esasperazione lo porta a dire cose che forse non avrebbe mai voluto confessare. “E la roba che conservi sotto il letto?”
“Non parlare dei miei amici! Non li conosci così come non conosci me!” si rivolta puntandogli un dito contro.
“Farai morire tua madre di crepacuore. È questo che vuoi?”
“No, ma non sopporto di restare con uno che si crede Mussolini!” urla raccattando alcune maglie e conficcandole con forza nel piccolo zaino.
“Mussolini? È questo che pensi? Se fossi lui ora non staremmo facendo questo discorso!” esclama.
Senza guardarlo Diego borbotta qualcosa, poi agguanta dal comodino il suo taccuino per infilarlo nella tasca posteriore dei pantaloni.
“Se esci da questa casa scordati di tornare, è chiaro?” ormai suo padre ha completamente perso le staffe. Afferra Diego per un braccio e lo trascina fino all’enorme ingresso. Gli occhi verdi sono lucidi, il viso paonazzo.
“Bene!” e dopo avergli lanciato uno sguardo colmo di risentimento, il ragazzo apre la porta di casa e si precipita giù per le scale.
Arrivato alla seconda rampa sente sbattere l’uscio. Trattenendo le lacrime di rabbia ricomincia la sua discesa, ma una volta fuori al portone resta lì fermo. Si sente finalmente libero da ogni costrizione.
Infila lo zaino sulle spalle e si avvicina alla Vespa parcheggiata sul marciapiede. Sa che suo padre lo sta guardando dalla finestra, ma non vuole dargli la soddisfazione di voltarsi. Ormai ha preso la sua decisione e non tornerà indietro.
Attraversa la città come in trance, le lacrime gli offuscano la vista. Non riesce a trattenerle, sfuggono al suo controllo. Quasi come se ne vergognasse le asciuga con il dorso della mano. Sa che può farsi ospitare da Dado, il suo migliore amico, un sacco a pelo per lui lo trova di sicuro. Ma non va da lui, prende la direzione opposta, verso la facoltà di Architettura. Gli striscioni appesi ad ogni finestra e sul portone d’ingresso inneggiano alla ribellione, alla lotta per i propri diritti. Diego parcheggia il suo mezzo di fronte al cancello, accanto ad un motorino sgangherato e a qualche biciclette dalla vernice scrostata. Curioso sbircia tra le sbarre, nel cortile sembra non esserci nessuno, il portone è spalancato e dai locali proviene della musica. Riconosce i Beatles. Il cancello è chiuso dall’interno con delle catene. Si muove alla ricerca di un varco, di un punto del muretto dal quale scavalcare. Le sbarre non sono particolarmente alte, ma appuntite. Decide che non può restare lì fuori per sempre. Si è alzato il vento e nuvole scure minacciano pioggia. Dopo aver lanciato lo zaino dall’altra parte del muretto si arrampica. Diego è minuto e si muove lento facendo attenzione a non infilzarsi come un polletto. Già vede il trafiletto sul giornale locale ‘Giovane muore trafitto dopo essere scappato di casa per unirsi ad un gruppo di manifestanti’
Pensando che forse non sarebbe una notizia tanto interessante, si lascia sfuggire una risatina, ma quando sente uno strappo impreca: “Merda” ha rovinato una delle sue maglie preferite.
Finalmente riesce a scavalcare ritrovandosi dall’altra parte del muretto e con un balzo atterra sul selciato.
Raccolta la sua roba, si avvia lungo il vialetto, la musica è sempre più forte così come il vociare. Nel corridoio puzza di fumo e di birra, banchi addossati alle pareti e sul pavimento sacchi a pelo, rifiuti e resti del pranzo. L’ansia attanaglia Diego. Non sa cosa lo aspetta, ma quando entra nell’androne ormai adibito a sala comune, una ragazza lo prende per mano coinvolgendolo in un ballo.
I lunghi capelli rossi sono sciolti sulle spalle, la camicetta semi aperta lascia intravedere il seno nudo. Diego arrossisce e lei gli rivolge un dolce sorriso.
“Dai, lasciati andare” gli dice passandogli una sigaretta di marjuana. A quel punto Diego sente le membra rilassate, la testa vuota. Si muove leggermente impacciato, non è mai stato bravo a ballare. La ragazza si pressa contro di lui, circondandogli il collo con le braccia. “Io sono Syria”
“Diego” lo sguardo vaga lungo il corpicino per poi posarsi sulle labbra socchiuse.
“Vuoi baciarmi?”
“Io…” abituato alle compagne di classe snob e altezzose, non sa che replicare.
“Quanto sei carino” la bocca si congiunge con la sua. Diego si fa trasportare, ma non lo emoziona. Quel bacio è primo di ansia, aspettativa, di passione che lo lascia indifferente. Soddisfatta di aver ‘battezzato’ il nuovo arrivato, si stacca allontanandosi. “A dopo” e gli strizza l’occhio.
Diego si pulisce con il dorso della mano e in quel momento sente una mano poggiarsi sulla spalla.
“Syria ti ha dato il suo benvenuto nel gruppo?”
Riconoscendo la voce di Michele scatta come una molla. Il leader del movimento è davanti a lui, fascia rossa tra i capelli, camicia a righe e pantaloni larghi. Al collo un ciondolo con il simbolo della pace. Non ha più gli occhiali a celare gli occhi scuri. La barbetta gli da un’aria un po’ maledetta che trova irresistibile.
“Così sembra” imbarazzato Diego cambia colore.
Michele scoppia a ridere: “Le ragazze sono libere di esprimere i loro desideri, qui non hanno bisogno di fingere”
Diego si tocca la nuca. “Avevi detto che potevo venire e… insomma… io…” il riccio lo scruta con un’intensità che lo rende ancora più nervoso di quanto non sia già. Diego abbassa lo sguardo verso le proprie scarpe diventate improvvisamente interessanti
“Sei il benvenuto, Diego” il suo sorriso lo riscalda conferendogli un po’ di coraggio.
“Ricordi come mi chiamo” è sorpreso.
“Certo. Perché non dovrei?” gli circonda le spalle con un braccio e lo conduce davanti a dei banchi sui quali erano poggiati contenitori con pasta, vari tipi di insalate e delle polpette fritte il cui profumo mette a dura prova la resistenza di Diego. Lo stomaco gli brontola.
“Fame, eh? Accomodati!” Michele ridacchia divertito.
Diego annuisce e si riempie un piattino di carta di schiaffoni al sugo.
“Tu non mangi?” domanda Diego vedendo che lui resta in piedi senza servirsi.
“Ho preso della pasta, mangia pure, sei tra amici”
“Grazie”
“Poi ti troviamo un sacco a pelo per stanotte” Michele non gli chiede come mai sia lì invece di trovarsi a casa o a fare i compiti o perché abbia la maglia strappata e un segno rosso sulla guancia e Diego gliene è grato.

3 commenti:

  1. Certo che se fa così non perde solo l'anno. Magari trova però altro... secondo me la strada è stata spianata. Mi piacciono i dettagli, anche se manca ancora un po' di descrizione sull'ambiente. Fammi sentire i fumi delle industrie di Torino, i rumori degli scioperanti, le utilitarie, la recessione... i dialoghi possono provenire da una fiction o dare la sensazione di essere catapultati nell'atmosfera sessantottina vera, a te la scelta. Ogni parola tesse una tela, ogni tasello scopre un volto, un paesaggio. Le parole sono tessuto, sono tassello...

    RispondiElimina
  2. Voglio il terzo capitolo! Sono qui in pena ad aspettare! <3
    Adoro questa storia e devo sapere come prosegue!!!

    RispondiElimina
  3. Si quoto xel. Ma Ale ci farà tirare il collo per molto, già lo so... W i coniugi vintage... ^^

    RispondiElimina

 

caparezzamadiego Copyright © 2011 Design by Ipietoon Blogger Template | web hosting